Intorno al Mongibello mai privo di passione

Alla mia Adriana e alla sua indole etnea

Dice la leggenda che l’Etna, oltre a quelli noti, possegga anche un nome segreto. Chi riuscirà a scoprirlo e a pronunciarlo potrà domare il vulcano.

I

Dai frutti della terra e dalla storia antica,

dal crogiolo di lingue di sangue e di sementi,

un’anima immortale dalle radici eterne,

immutabili umori nell’intimo costume.

Guardar passar le genti, con occhi senza tempo,

il sorriso beffardo, tra il cupo ed il sornione.

Osservar lo stupore mutarsi in mille brame,

in voglie di possesso riposte malamente;

e chi ha preteso troppo cadere prigioniero,

ed entro breve tempo restare posseduto,

e, mollemente invaso dal mal del viver mite,

sperando poco o nulla, rinunciare alla lotta,

strappare di nascosto il frutto del sudore,

per non divider nulla col nuovo vincitore,

restando ognuno solo a ridere e a morire,

per non alzar la testa da dove l’erba è folta,

per non fissar negli occhi il fondo dello specchio,

scoprir tutta la rabbia a lungo accumulata

in ogni uomo solo, ognuno uguale all’altro,

tirare fuori insieme coraggio dal dolore,

scacciare il vecchio male che ammorba il paradiso,

lasciar brillare il sole sul regno degli dei,

e suscitar l’invidia d’ogni passante ignaro.

II

Dai frutti della terra e dalla storia antica,

dal crogiolo di lingue di sangue e di sementi,

un’anima immortale dalle radici eterne,

immutabili umori nell’intimo costume.

Guardar passar le genti, con occhi senza tempo,

il sorriso beffardo, tra il cupo ed il sornione,

dettare leggi eterne, che minacciano morte,

più forti di ogni forza e di ogni vincitore,

fondate sul terrore a lungo alimentato,

imposte con la forza di dieci contro uno,

seppur uno di mille, restando ognun da solo,

paziente e rassegnato al male senza fine,

e al tocco di campana, che ne compie il destino,

il velo farsi nero e l’urlo farsi pietra,

per mescolarsi ai sassi tormentati dal sole

e non cambiar mai più nell’intima natura.

Furbizia millenaria usata malamente,

meschini figuranti bramosi di potere,

violenza sempre pronta a piegare il coraggio,

disprezzo per la vita della gente comune,

il ghigno allucinante assetato di sangue

e il lugubre silenzio portatore di morte.

Il vincolo segreto col suo rito nefando,

dall’origine oscura nella notte dei tempi,

senza onore né gloria, né cultura, né niente.

Un regno del terrore basato sopra un niente,

un niente che separa o che unisce per sempre

le vittime e il carnefice più simili che mai.

III

Dai frutti della terra e dalla storia antica,

dal crogiolo di lingue di sangue e di sementi,

dal fertile giardino fecondato dal sole,

dal cuore generoso di forti giovinetti

e dal tenero amore di splendide fanciulle

la forza della vita esploder senza freni,

più forte di ogni forza, per legge di natura,

e rinnovarsi il mito romantico e sensuale

di una terra che vive di favole e leggende:

Uzeda lo stalliere, la bella Galatea,

principessina dolce di una fiaba gentile,

travolti dall’incanto a dispetto del censo,

in quel boschetto sacro nei pressi della Plaja.

Poi l’altra Galatea, ninfetta dello Ionio,

che, eccitato il ciclope, si nega, preferendo

l’amore d’acqua dolce del pastorello Aci.

E nel cuore d’ Ortigia, nella timida fonte,

il gorgo di passioni della ninfa Aretusa

dissolto nell’amore del fiumicello Alfeo.

Proserpina “la dolce”, ghermita da Plutone,

con Ciane che la insegue, piangendo fra i papiri,

e Cerere che soffre e protesta con Giove,

giungendo al compromesso che alterna le stagioni,

per fecondar la terra, rinnovando la vita,

intorno al Mongibello mai privo di passione.

Per ristorare i corpi, con anima sensuale,

di stanchi marinai dei mari tutt’intorno,

le vergini più belle sacrificar se stesse,

emulando, devote, la Venere Ericina.

E a costo della vita, in epoca di Vespri,

la bella Gammazita rifiutarsi al francese,

mentre tra le sirene, nei pressi dello stretto,

nel regno di Morgana, la fata che c’illude,

andar su e giù per l’acqua, fino a restarci sempre,

il giovan Colapesce dal cuor di una leggenda,

per regger la colonna dell’isola che trema,

pagando duramente la rabbia d’ Encelado.

IV

Dai frutti della terra e dalla storia antica,

dal crogiolo di lingue di sangue e di sementi,

dal fertile giardino fecondato dal sole,

dal cuore generoso di forti giovinetti

e dal tenero amore di splendide fanciulle

la forza della vita esploder senza freni,

più forte di ogni forza, per legge di natura,

rinnovando la storia romantica e sensuale

di una terra che vive tra favole e leggende:

dai miti della Grecia alle mille e una notte,

fra canti di sirene e veneri ericine,

fra vecchi cantastorie e “cunti di Giufà”,

fra amori d’acqua dolce e duelli rusticani,

in un silenzio carico del canto dei muezzin.

Le gambe di una donna saltare sulle rocce

nere di lava antica, vittoriosa sul mare,

danzando nella notte per ravvivare il fuoco,

acceso per un rito dalle origini antiche.

Ed osservar le mosse selvatiche e sensuali

del fuoco della vita in quel corpo di donna,

che ansimando poi cede, spossata dal piacere,

tra un batter di tamburi smorzato dalla storia.

Ed ascoltar la voce dal fascino ammaliante,

che giunge misteriosa da memorie lontane.

Proserpina o Aretusa? Morgana o Galatea?

Tragedia greca o canto di un’araba impazzita?

Sotto le mille stelle mezzane dell’amore

l’alcova sempre pronta prestarsi al rito eterno,

che, ignaro della storia, ad ogni vincitore

consente di restare nel regno degli dei,

col frutto dello stupro trasformato in amore,

intorno al Mongibello ed al suo umor mestruale.

V

Dai frutti della terra e dalla storia antica,

dal crogiolo di lingue di sangue e di sementi,

dal Passero al Peloro, al Capo Lilibeo,

tra i mandorli e gli ulivi, gli aranci ed i carrubi,

tra il vento di scirocco e quello di grecale,

tra l’infinito d’Erice e la Scala dei Turchi,

tra il fuso della Vecchia e il lido dei Ciclopi,

tra il barocco di Noto e il teatro di Taormina,

tra i templi della Valle e quelli dei Normanni,

tra i mosaici in bikini e il tiranno che ascolta,

pescherecci a Mazara, spadare sullo stretto,

sospiri di sirene e sangue di tonnare,

caponate agrodolci e pasta con le sarde,

profumo di “lumie” e ricchi fichidindia,

dolcissime cassate coperte di canditi,

cannoli di ricotta e dolci martorana,

il vino delizioso del gran porto di Allàh;

“bummuli e marranzani, cianciani e friscaletti”,

tarantelle sfrenate al suon dei tamburelli,

carretti variopinti con l’opera dei pupi,

venditori ambulanti che cantano d’antico,

“vucciria” di sapori, di suoni ed emozioni,

retablo di colori e sensazioni forti.

Teatri millenari nel teatro del mondo,

scenario della storia e della fantasia.

Il primo parlamento, la scuola di volgare,

la scienza d’Archimede, le leggi di Caronda,

Empedocle curioso, Stesicoro poeta,

da Verga a Pirandello, da Quasimodo a Sciascia,

da Antonello a Guttuso, Bellini e Majorana.

Dai principi e baroni ai piccoli Liolà:

il gran conte Ruggero, Federico Secondo,

Turiddu e Donna Lola, Diodata e Don Gesualdo,

lotte per il potere in nome della storia,

triangoli d’amore, furenti gelosie,

duelli rusticani, in nome dell’onore.

VI

Dai frutti della terra e dalla storia antica,

dal crogiolo di lingue di sangue e di sementi,

dal Val di Noto al Demone e a quello di Mazara,

da Kerkent a Balarm ed a Balad Al Fil,

tra Cordova e Damasco, tra Siviglia e Baghdad,

ricordi di moschee e dell’Andalusia,

vulcani di passione, fra sciare e latomie,

bianchissime saline dall’essenza del mare,

mandorli sempre in fiore e zagare d’amore,

malinconie salmastre e musiche d’oriente

sotto un cielo stellato con profumi lontani.

I tanti Malavoglia che lottano col mare,

oppure con la terra, senz’acqua né speranza,

fino a restarne vinti, e morire due volte:

valigie di cartone, legate con lo spago,

andare in capo al mondo, in cerca di fortuna;

mille camicie rosse che passano più in là,

gli sguardi indifferenti di chi ha già visto tutto,

i gattopardi intenti a domare la storia,

per non lasciarlo fare a “Peppa a Cannunera”

col rischio che si cambi più di quanto convenga.

La rabbia senza luce, la ferocia di Bronte,

diventata coscienza tra Avola e Portella.

Da una radice sana, fra le tante marcite,

la lotta senza tregua al male senza fine,

condotta a testa alta, al prezzo della vita:

Da Grassi a Livatino, e da Montalto a Fava,

Falcone e Borsellino, Chinnici e Cassarà,

giudici, imprenditori, agenti e giornalisti,

testardi, coraggiosi, splendidi ragazzini.

Da Gela a Selinunte, da Kamarina a Naxos

da Tindari ad Imera e da Segesta a Motia,

colonie elime e greche, porti Cartaginesi,

e i Siculi nel centro e gli antichi Sicani,

e ancor più al centro e prima d’ogni gente venuta,

nel pozzo della storia, nel teatro del mondo,

dal fuoco primigenio, all’alba d’ogni tempo,

un’emozione eterna dai tratti femminili,

col viso luminoso e gli occhi sorridenti,

che trasudano vita e voglie senza freni,

nell’ondeggiar del ventre odorante di muschio,

fra guizzi di passione e di carnalità.

VII

Dai frutti della terra e dalla storia antica,

dal crogiolo di lingue di sangue e di sementi,

un giovanotto bruno, e con gli occhi normanni,

la maglietta Lacoste e i jeans di Valentino,

sorridere pensoso a bordo di una spider;

e la ragazza a fianco, le gambe bene in vista,

con una gonna mini, che la cerchi e non c’è,

parlargli accalorata di chissà mai che cosa

e poi ridere insieme ed avviare il motore.

La luce di un lampione smorzarsi su un palazzo

dalle linee barocche coperte dallo smog,

percettibile appena un ritmo di flamenco.

E lì, presso una palma, la lucciola mulatta

attendere paziente un altro finto amore,

e qualche banconota, che stanca del suo viaggio,

cambierà ancor di mano, senza saldare il conto

del poco che s’è dato, che a riceversi è nulla.

Lontano una sirena: la scorta a un magistrato?

Due ragazzoni biondi, venuti da lontano,

l’aspetto un po’ assonnato e il mitra sottobraccio

meditare perplessi sui “vespri siciliani”,

domandarsene il senso e non aver risposta.

All’angolo, l’insegna del bar “La Magna Grecia”

spegnersi perché è tardi, “ Se Dio vuole si chiude,

domani si fa festa, sarà tempo da mare? ”

Al Cinema Trinacria un vecchio cartellone

con quella strana storia del “caso Franca Viola”.

Da un gruppo di ragazzi che ciondola più in là

lo scroscio di risate e voci femminili

accogliere di gusto l’ennesima storiella

sul vecchio Micio Tempio che non tramonta mai.

La mezzaluna spenta, visibile soltanto

dagli occhi marocchini di un triste “Vucumprà”,

osservare in silenzio la notte che sbadiglia,

immaginando invano un canto di muezzin.

 

Io credo pure che chi scoprirà quel nome potrà anche possedere la donna più difficile, ma anche più sensuale della terra, la sua anima, il suo corpo…

Tommaso M. Patti 1996-97


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