Preoccupato, confuso, e deluso. Così mi sentivo ieri sera a conclusione dell’Incontro organizzato nell’aula consiliare del Comune di Belpasso da Luciano Mirone, direttore del L’informazione, che per due ore abbondanti ha dialogato su tematiche riguardanti la guerra in Ucraina, su possibili risvolti legati all’eventuale uso di armi atomiche, su rischi legati al ruolo che da tempo Sigonella ha assunto sullo scenario internazionale con Antonio Mazzeo, giornalista e saggista ma soprattutto ecopacifista antimilitarista.
Le chiarezza delle immagini che appaiono quotidianamente in tv e le notizie che giungono dall’Ucraina non lasciano dubbi: la guerra cui lo scorso 24 febbraio ha dato origine la decisione russa di invadere l’Ucraina non solo è in pieno svolgimento ma, allo stato attuale, non presenta nulla che lasci presagire una conclusione a breve scadenza. Ad accrescere la preoccupazione, è anche la vicinanza di Belpasso a Sigonella, sede del 41 stormo AntiSom dell’Aereonautica militare italiana, ma soprattutto sede della NAS (Naval Air Station statunitense), la più importante base Nato del Mediterraneo, ultimamente molto attiva per i continui viavai di droni cui spetta il compito di sorvegliare l’andamento delle operazioni nelle zone di guerra. Quali conseguenze ci sarebbero per il nostro territorio se, persistendo l’intransigenza al dialogo, la volontà di ritorsione scegliesse proprio Sigonella come teatro di qualche atto dimostrativo?
Come si vede, c’è poco da stare tranquilli. La situazione è davvero seria e con il passare dei giorni diventa sempre più ingarbugliata. Nonostante sia chiaro chi è l’aggressore e chi è l’aggredito, non è facile assumere l’atteggiamento che, in qualche modo, possa incidere. La considerazione che la guerra si combatte con le armi dovrebbe spingere a manifestare contro gli armamenti, contro le fabbriche che li producono e contro quelle organizzazioni che attraverso il loro commercio fanno affari d’oro. Ma intanto la guerra imperversa, la gente continua a morire e qualcosa bisogna pur fare. Se si sospende l’invio di armi a chi è stato aggredito si rischia di spianare la strada all’aggressore, se invece si continua ad inviarle si rischia di alimentare il conflitto allontanandone conclusione. Il cittadino comune si sente sempre più confuso e non sa più come orientarsi. Maledetta guerra! Possibile che ai giorni nostri sia ancora lo strumento privilegiato per dirimere questioni che si potrebbero risolvere con il confronto e il ragionamento? Possibile che la Storia non abbia insegnato nulla?
Nel terzo millennio – dopo le due guerre mondiali del secolo scorso, seguite dal conflitto nei Balcani in Europa, dalle tensioni in Medio-oriente e dalle tristi esperienze in Afghanistan – una guerra come quella in atto è inconcepibile. Non poteva e non doveva scoppiare! Tutto ciò avrebbe dovuto essere sufficiente perché la Comunità internazionale si sentisse coinvolta in una insistente pressione preventiva, impegnando le parti a discutere sulle cause con lo scopo di trovare soluzioni che avrebbero evitato gli effetti. Purtroppo, nulla o poco è stato fatto e il peggio non è stato evitato. La guerra non si ferma e ci si chiede fino a che punto sarà utile continuare ad inviare armi agli aggrediti e inasprire le sanzioni nei confronti degli aggressori.
È chiaro che la fine del conflitto, più che dai campi di battaglia, passa dai tavoli delle trattative e al riguardo non sfuggono né lo strano silenzio dell’Onu e neanche l’assenza di iniziative forti da parte delle varie diplomazie. Delusione, questa, che si aggiunge alla preoccupazione e aumenta la confusione. È chiaro che il cittadino comune non sta dalla parte della guerra, come è altrettanto chiaro che l’opinione pubblica non la approva. Il Papa non tralascia occasione per lanciare i suoi messaggi e la Scuola, al di là di qualsiasi logica aziendalista alla quale si voglia costringerla, continua a fare la sua parte educando al rispetto, alla tolleranza, alla legalità, alla pace.
La guerra non la decide il popolo, la guerra la decidono i governi. Tocca a loro porvi fine.
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