Inchiesta/ I misteri di Gianni Lapis tra ‘tesoro’ di Ciancimino e tangenti ai politici

Sembra una scena di un film. E’ venerdì 2 dicembre. Lui, il professore Gianni Lapis, l’ultimo dei ‘consiglieri’ di Vito Ciancimino, da pochi giorni assolto dalla Suprema Corte per prescrizione del reato di fittizia intestazione del ‘tesoro’ di Vito Ciancimino, avvolto nel suo giaccone grigio e con tanto di coppola, attraversa annoiato una piazza di Roma. Due uomini con scritto sul petto “Guardia di Finanza” lo avvicinano e lo affiancano. Per sovrappiù mostrano il tesserino. Lui li guarda negli occhi e non dice nulla, ha capito che questa volta non si scherza; la faccia è come sbiancata tutta d’un colpo e apparentemente non mostra segni di cedimento. Loro gli dicono di seguirlo, lui dice va bene. Di spalle, i tre si allontano, lui in mezzo e i due finanziari al lato a proteggere il risultato della loro brillante azione d’intelligence. Poco distante una vettura di servizio li attende con le portiere aperte. Il professore scompare dentro l’abitacolo. Fine del film e inizio della storia.
Gianni Lapis, il professore di finanza e diritto tributario dell’università di Palermo, stimato ed apprezzato avvocato consulente e professionista, grande imprenditore della metanizzazione siciliana e pugliese, dal 2003 indagato e poi processato, condannato e assolto per prescrizione del reato di fittizia intestazione del tesoro di Vito Ciancimino nella azienda della Gas spa, destinatario di una mega confisca del valore patrimoniale di 60 milioni di euro, è stato arrestato e ricondotto nelle patrie galere.
Portato al carcere di Rebibbia, medita sul tenore dell’ordinanza d’arresto che ha posto fine alla sua libertà. L’accusa è di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio. La richiesta di arresto è del procuratore aggiunto presso il Tribunale di Palermo, Antonio Ingroia, che nella conduzione di tale operazione ha dimostrato bravura professionale e fine intelligenza inevstigativa. Ci vuole sempre un siciliano per fregare un siciliano! E infatti di un po’ di fregatura si è trattato. Un agente infiltrato nella rete dei contatti del professore Lapis, autorevole capo indiscusso dell’organizzazione dei faccendieri arrestati contemporaneamente a Lapis, avrebbe determinato la possibilità di dare un’accelerazione alla discovery dell’operazione patrimoniale illecita in cui il professore e i suoi collaboratori si sarebbero infilati. Il reato contetato è quindi di natura patrimoniale. L’obiettivo: riciclare 60 milioni di “vecchi” dollari e intermediare qualche tonnellata di oro proveniente dall’Oriente da trasformare,magari, in lingotti con punzonatura italiana. L’affare è grosso ed internazionale e non poteva essere diversamente per chi ha conosciuto il profilo professionale del professore.

Lapis, genio niger
Un uomo dall’intelligenza sottile, in un pensiero megalomane, capace di infilarsi nelle pieghe del diritto e della legge, anche internazionale, per piegarla al volere del suo cliente. Stimatissimo e apprezzato tanto da Vito Ciancimino che dal vecchio avvocato Vito Guarrasi, consulente legislativo dell’Assemblea regionale siciliana della prima ora. Un uomo, Lapis, che ha conosciuto e prestato assistenza professionale ai maggiorenti politici della Prima, della Seconda e di questa Terza Repubblica. Un professionista che poteva permettersi di dettare a deputati ed onorevoli emendamenti alla finanziaria scrivendoli con migliore efficacia di chi di competenza. Un avvovato che commissionava ai politici amici favori e raccomandazioni. Un professionista del dirittto che oggi può affermare pubblicamente di avere pagato tutti i politici di tutto l’arco costituzionale. Per il resto, tutto casa e studio. Un genio della finanza nazionale e anche internazionale.
La sua verve professionale l’ha portato a trattare di tutto nel settore delle energie e del riciclaggio dei rifiuti , in Italia e all’estero e, da ultimo, anche nel settore dei diamanti, oro e dollari. E sono proprio i 60 milioni di dollari (un numero ricorrente nelle vicende giudiziarie del professore), da riciclare in euro, ad avere fatto perdere prima il sonno e poi la libertà al professore.

Nessun interesse di Ciancimino?
Per la Corte di Cassazione, “Ciancimino jr conosce i movimenti del patrimonio di suo padre sin dal lontano 1984 quando era appena ventenne”.  Massimo Ciancimino è infilato anche in questa storia? Lui (e per lui sua moglie Carlotta) vorrebbe far credere di non entrarci, anche se la scelta dei due ‘ristretti’ , Lapis in carcere e Ciancimino ai domiciliari, di condividere lo stesso legale, l’avvocato Francesca Russo, sembra volere indicare che, forse, Ciancimino è interessato alla vicenda. D’altronde, si parla di un mucchio di dollari della Prima Repubblica, cioè dei vecchi schieramenti politici Dc/Psi/Pci: vuoi che Vito Ciancimino non sapesse qualcosa e non ha avuto il tempo di confidare all’erede Massimo quanto a sua conoscenza?
Questo mucchio di dollari è parte del ‘tesoro’ di don Vito Ciancimino? Non c’è ancora risposta all’interrogativo principale, ma vedremo. Anche perché “Dell’origine e trasformazione del patrimonio del padre, Massimo Ciancimino era perfettamente a conoscenza, e non certo da epoche recenti, visto che già dal 1984, appena ventenne, venne impiegato proprio dal padre ‘per trasferire somme di denaro contante in libretti al portatore nelle mani di un altro prestanome, Josafat Di Trapani, condannato con la sentenza del 1992 per favoreggiamento reale verso Vito Ciancimino”. Lo scrive la Cassazione in uno dei passaggi della motivazione, depositata il 5 ottobre, con la quale i Supremi giudici, hanno dichiarato prescritto il reato di intestazione fittizia dei beni di cui Ciancimino junior era accusato e confermato il reato di riciclaggio con una riduzione di pena a due anni e otto mesi.

Il caveau con il mucchio di dollari di “Mario”
Tutti i soldi sono di un tale fortunato “Mario” non ancora identificato. Intanto la Guardia di Finanza ha scoperto le tracce di questo deposito da 60 milioni di dollari che Lapis, con i suoi collaboratori, cercava di cambiare in euro. Il racconto di tutta la vicenda proviene proprio dall’agente delle Fiamme Gialle sotto copertura, infiltrato nella banda dei faccendieri su mandato della Procura della Repubblica di Palermo, che per giorni e giorni ha trattato con alcuni dei faccendieri : “Mi dissero che quei soldi erano tangenti pagate fra gli anni 1986 e 1988. Il caveau sembrerebbe intestato ad un certo Mario”. Da poco ci eravamo liberati dall’ossessione dei nomi in codice dei “ Carlo” e/o “Franco” di Massimo Ciancimino e adesso ci ritroviamo dinanzi al più italiota dei nickname: “Mario” . La caccia al ‘tesoro’ di don Vito si prospetta un rompicapo.

La banda dei faccendieri
Si parte da una certezza investigativa: gli indagati non hanno redditi propri da giustificare la montagna di dollari che volevano riciclare. Il gruppo dei faccendieri, oltre Lapis, è composto da Francesco Terranova, Gianni Lizza, Salvatore Amormino e Nino Zangari. Gli arresti eseguiti dai finanzieri tra Roma, Palermo, Taranto, Catania, L’Aquila e Benevento hanno portato in carcere questi personaggi operanti nell’area dell’intermediazione finanziaria facenti capo al professore Lapis. Tutti gli arrestati sono ritenuti “responsabili del reato di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio di ingenti quantitativi di denaro in divisa estera, attraverso l’esercizio abusivo della professione di intermediario finanziario con modalità tali da eludere il sistema della tracciabilità delle operazioni finanziarie, aggirando il circuito bancario e consentendo di fatto l’immissione nei mercati di denaro contante di provenienza illecita”. In particolare, le indagini sviluppate hanno consentito di smascherare un pericoloso sodalizio criminoso di faccendieri. Gli esponenti dell’organizzazione si erano rivolti a diversi soggetti che, al contrario, avevano l’esigenza opposta di cambiare euro in valuta estera, prospettando vantaggiosi tassi di cambio fino a uno sconto del 15 per cento. Dalle indagini è emerso che il professore Lapis era la ‘mente’ del gruppo criminale. Altre nove persone, responsabili a diverso titolo, risultano indagate a piede libero. La polizia giudiziaria in atto controlla la montagna di documentazione appresa durante il sequestro intervenuto presso i locali a disposizione di ciascun arrestato. Ovviamente, particolari scottanti si attendono dall’esame della documentazione sequestrata presso lo studio del professore Lapis. Minori aspettative ci sono per eventuali scoop a seguito dell’interrogatorio in carcere del Lapis che sembra non essere ancora avvenuto. Non solo dollari, ma anche luccicante oro.

Oro a tonnellate!
Il 4 ottobre Lapis informa il Terranova che il problema relativo all’operazione dell’oro è risolto e lo prenderanno da Hong Hong, ma devono avere solo la conferma. Conferma che deve arrivare da tale Giancarlo. Da dove arriva l’oro si capisce dalle parole di Amormino a Lapis: “Il nr. 3 del gruppo Yamamoto Finanziario è venuto da noi, io ho fatto la verifica, lui ha comprato per un miliardo di euro, lui, proprietà, una miniera nelle filippine, abbiamo chiamato l’ambasciata abbiamo visto il certificato di proprietà, una miniera d’oro, eh professore”. Lapis: “A me mi servono lingotti d’oro! Lingotti”. Amormino: “… allora lui ha il certificato per portarlo dalla miniera in Italia, li fa fare qui in Italia, a Vicenza, e poi diventano lingotto con il marchio con la punzonatura, adesso non so come diavolo si chiama, e dopo di che fa la vendita, però abbiamo la persona diretta, il proprietario della miniera!”.
Lapis sembra quindi avere la disponibilità di ingenti capitali, lo stesso si avvale della collaborazione di Giuseppe Peditto, un messinese che opera per conto del tributarista in Francia e Svizzera. Oltre a Peditto, con Lapis collaborano Antonio Gaudio, suo socio di studio, e Vincenzo Barresi (figlio del fratello del giudice Barresi del Tribunale di Palermo). Tutti coinvolti nell’affare dell’oro. Il gruppo del Lapis si avvale, in qualità di mediatore, di un soggetto arabo utilizzatore di un’utenza straniera di nome Bakir, in corso d’identificazione che opererebbe in Spagna. Ce n’è abbastanza per concludere che siamo di fronte ad un intrigo internazionale tutto da chiarire.

Cercano i soldi della mafia, trovano quelli dei politici
Questo ‘tesoro’ si troverebbe nel cuore di Roma, in un caveau di una banca della Capitale, ed è un tesoro che puzza, perché quelle banconote sarebbero le tangenti pagate ai politici della Prima Repubblica. Il militare della Guardia di Finanza, infiltrato sotto copertura per cercare di scoprire i canali di riciclaggio di cosa nostra, cercava in verità tracce di soldi di mafia. Infatti, è fermo convincimento della Procura di Palermo che, seguendo le operazioni del professore Lapis, in qualche modo questi potesse portarli a somme e investimenti di Ciancimino o comunque della mafia.
Invece dei soldi della mafia, sono spuntati i soldi dei politici. A gestirli era un’efficiente agenzia del riciclaggio che, poco a poco, ha abboccato all’amo dell’agente sotto copertura. Infatti, a fine ottobre l’infiltrato è stato ammesso a trattare con il capo dell’organizzazione, considerato uno degli ultimi prestanome e curatori del patrimonio di Ciancimino, Gianni Lapis. Il 31 ottobre, in una stanza del Grand hotel di Salerno, c’erano da un lato il nostrano professore Lapis insieme a due rappresentanti della “proprietà” dei dollari, almeno così si qualificarono con l’agente infiltrato; dall’altro lato, l’agente sotto copertura “attrezzato” di microspia che, in tempo reale, trasmetteva le voci di quella trattativa nella sala operativa del nucleo speciale di polizia valutaria della finanza a Roma.
E’ stato un faccendiere originario di Taranto, Angelo Giudetti, a spiegare che l’operazione sarebbe iniziata con una prova, un test per verificare la credibilità reciproca, ovvero il cambio in euro di un milione di quei dollari. Una sorta di prova generale per il cambio dei 60 milioni: “Giudetti spiegò che tale provvista aveva un’origine di natura politica”, ha scritto l’agente nel suo rapporto al procuratore aggiunto Antonio Ingroia. “Giudetti disse, in particolare, che quei soldi provenivano da tangenti versante durante gli anni 1986, 1987 e 1988. Aggiunse tra l’altro che in quel periodo la corruzione avveniva mediante il versamento di tangenti in valuta estera, perché non soggetta a svalutazione determinata in quel periodo da altissimi tassi di inflazione”.
Erano state fissate anche le modalità di incontro e di pagamento: nel giorno prestabilito, un rappresentante della “proprietà” del mucchio di dollari sarebbe andato con un collaboratore dell’agente sotto copertura, uno specialista nell’analisi delle banconote, in un istituto di credito romano: “Lì, avremmo potuto fare le nostre verifiche”, così prosegue il racconto dell’infiltrato. “Contestualmente, un emissario del gruppo dei venditori avrebbe preso visione degli euro che, intanto, erano stati messi a disposizione per l’indagine di Palermo”.
La richiesta della “proprietà” dei dollari era stata chiara: in cambio dei 60 milioni di dollari, si sarebbe dovuto pagare 45 milioni di euro. L’aggio per i faccendieri, il 15 per cento. Ma la trattativa si è interrotta prima della conclusione. Lapis e gli altri cinque faccendieri sono stati arrestati con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio.

Il procuratore aggiunto Ingroia
Il procuratore aggiunto della Procura di Palermo che ha condotto le indagini ha spiegato ai media come “con questa indagine abbiamo avuto la conferma che esistono strutture finanziarie illecite di servizio a disposizione delle organizzazioni criminali, ma anche di ambienti tangentisti, che hanno bisogno di ripulire i profitti delle loro attività”. Il comandante del nucleo speciale di polizia valutaria, il generale Leandro Cuzzocrea, a sua volta spiega: “E’ una delle prime volte che viene applicato in Italia lo strumento dell’agente sotto copertura, previsto dalla legge, per un’indagine antiriciclaggio”.
Adesso, è caccia al caveau di Roma dove sarebbero nascosti i 60 milioni di dollari. Da alcune intercettazioni fra il faccendiere di Taranto e un misterioso “Mario” ci sono delle indicazioni e una pista di ricerca ben precisa. Nuove e pesantissime ripercussioni sul mondo economico sono attese a breve. L’indagine, infatti, non è ancora finita e potrebbe presto svelare i nuovi canali di riciclaggio di tutti i soldi conquistati dai politici corrotti e dalla mafia loro sodale durante gli anni ‘90 e fatti girare vorticosamente nella city londinese e nella Shanghai del boom economico cinese, fiutato in tempo dai padrini che hanno cambiato il volto della mafia siciliana. La vicenda si prospetta interessante e densa di colpi di scena e noi saremo qui per raccontarvela.

 

Virginia Di Leo

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