da Ramasamy Sivapragassen
riceviamo e volentieri pubblichiamo
Abito a Palermo da venticinque anni. Qui sono nate le mie figlie. Qui ho immaginato di continuare a vivere. Eppure qualcosa sembra improvvisamente essersi rotto nello spirito di accoglienza di questa città. Gli episodi di violenza e intolleranza si moltiplicano. Perché?
Lo scorso anno tre ragazzi dello Sri Lanka sono stati picchiati selvaggiamente e ricoverati in gravi condizioni. Un mauriziano coinvolto in un piccolo incidente dauto è stato assalito da un gruppo di palermitani e costretto a ricorrere alle cure ospedaliere. La ragazza nigeriana uccisa barbaramente in via Filippo Juvara, e laltra scomparsa e ritrovata carbonizzata nelle campagne di Misilmeri. Due episodi gravissimi di cui occorre capire la ragione.
E poi i piccoli episodi di intolleranza e disprezzo: sempre più spesso gruppetti di stranieri sono oggetto di sputi o lanci di uova. Sembra che lintegrazione, invece di progredire, cammini indietro come i gamberi.
Migliaia di ragazzi, nostri figli, si considerano palermitani, hanno qui le loro amicizie, progettano e sognano il loro avvenire e parlano con lo stesso accento dei loro coetanei. Le comunità immigrate cominciano ad avere paura.
Noi abbiamo ripetuto molti anni dopo quello che tanti siciliani avevano già fatto: inseguire un sogno. Fuggire dalla gerra, dalla miseria, da un futuro senza prospettiva. Nelle terre che li hanno accolti, i siciliani hanno subito molte umiliazioni ma poi si sono affermati integrandosi pienamente.
Se c’è memoria di quello che i migranti di tutti le epoche soffrono perché non evitarlo? La scuola può fare molto. Ma anche le istituzioni. Il Commissario straordinario del Comune incontri gli immigrati e inviti la città a una nuova fratellanza. Solo così possiamo rassicurare i giovani che Palermo è sempre la città accogliente che hanno conosciuto.
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