«Il 1761 può sembrare lontano ma in fondo non lo è così tanto». A parlare è Alessio D’Urso, il geologo che negli scorsi giorni si è espresso sul nubifragio che ha messo in ginocchio buona parte dell’Acese causando l’esondazione del torrente Lavinaio-Platani, tra cui Capomulini, dove la furia dell’acqua ha danneggiato due automobili e allagato diverse abitazioni.
Ma la pericolosità del Lavinaio-Platani, nonostante negli ultimi anni abbia riguardato Acireale, interessa tutti i comuni attraversati dal corso d’acqua e soprattutto Aci Catena: «In territorio catenoto – dichiara D’Urso – il torrente s’ingrossa improvvisamente a causa dell’immissione delle acque provenienti da Aci Sant’Antonio. È da lì in poi che si trasforma in una vera e propria minaccia per l’incolumità pubblica». Una minaccia che tuttavia ha radici lontane nel tempo: «La storia parla chiaro – continua il geologo -. Si tratta di un corso d’acqua che già diversi secoli fa creò danni impressionanti. Era il 4 settembre 1761 e ad Aci Catena ci furono numerosi morti, specie se si considera il fatto che a quel tempo la popolazione era decisamente inferiore a quella odierna e il numero di case altrettanto esiguo».
Rifarsi al passato, per D’Urso, dovrebbe servire da monito per non sottovalutare l’attualità, che da queste parti ha visto un’esondazione nel tratto che unisce via Filippo Montesi a via Scase Sant’Antonio: «Quando è arrivata la piena ero sul posto – racconta ancora il geologo -. L’acqua è uscita presto dal canale, che in quel punto è particolarmente stretto, e si è riversata con forza sulla scalinata adiacente, rischiando di travolgere anche un’auto che proprio in quei momenti attraversava la strada sottostante».
A destare ulteriore preoccupazione nei residenti di Aci Catena, che sabato scorso hanno espresso tutto il proprio disappunto sui social network, è il fatto che il punto interessato dall’esondazione è stato oggetto appena un anno fa di lavori da parte del Genio civile, provvedimenti che però sembrano non aver garantito un sufficiente grado di sicurezza.
Adesso, però, altri interventi di sicurezza sembrano essere in procinto di essere calendarizzati. In realtà non si tratta di una novità dell’ultima ora, ma dell’avvio di un iter che il comune di Aci Catena avrebbe già potuto far partire cinque anni fa (all’epoca l’amministrazione era guidata dall’attuale depurato regionale, Raffaele Pippo Nicotra, ndr) quando il ministero dell’Ambiente stanziò circa un milione di euro da adoperare per la messa in sicurezza di parte del torrente. Da allora e fino allo scorso aprile nulla era stato fatto: solo la scorsa primavera l’amministrazione Maesano ha presentato per la prima volta un progetto, proposta però che ricevette il parere negativo da parte dell’assessorato Territorio e Ambiente e del Genio civile.
Archiviato il rifiuto, è stata indetta una gara che ha portato alla selezione di un esperto che nei prossimi giorni collaborerà anche con D’Urso per capire come meglio utilizzare i fondi ministeriali: «Negli anni passati ho collaborato con il Comune di Aci Catena – chiarisce il geologo -. E già allora produssi la mia relazione sul torrente. Adesso incontrerò l’ingegnere che si occuperà di redigere il nuovo progetto». La messa in sicurezza, tuttavia, non riguarderà l’intero tratto di torrente che ricade nel territorio catenoto, ma soltanto una parte: «Si potrà operare fin dove basteranno le risorse economiche. Si tratta di qualche centinaio di metri a monte, proprio dove le acque di Aci Sant’Antonio si immettono nel letto del Lavinaio-Platani. Non sarà il massimo, ma servirà a migliorare decisamente il livello di sicurezza».
Tra le ipotesi in campo, anche quella di creare una vasca di espansione che possa far perdere velocità ed energia alla massa d’acqua. Per farlo bisognerà che il Comune acquisisca alcuni appezzamenti di terreno adiacenti al corso d’acqua, espropri che – secondo alcuni residenti – potrebbero fare storcere più di qualche naso: «La speranza – conclude D’Urso – è che si possa operare al meglio per la sicurezza dei cittadini».
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