Il terribile terremoto nella Valle del Belice 47 anni fa La ricostruzione incompleta e la mancanza di sviluppo

Anche quest’anno anniversario amaro nella Valle del Belice. A 47 anni dal terremoto lo Stato italiano è ancora in debito con i Comuni di questa parte della Sicilia. Luci (poche) e ombre (ancora tante), come ricorda il coordinatore dei sindaci della Valle del Belìce, Nicolò Catania, primo cittadino di Partanna. C’è «il finanziamento di ben 35 milioni di euro, originato dalla legge di stabilità 2013, che in seguito a innumerevoli peripezie burocratico-amministrative, grazie all’impegno congiunto tra il coordinamento, il ministero delle Infrastrutture e la Regione siciliana sono in procinto di essere incassati dai comuni del Belice». Ma tarda ancora ad avviarsi «la fase di chiusura della ricostruzione nei 21 Comuni colpiti dal sisma del 1968». 

Sembra un po’ incredibile dopo tanti anni, ma la ricostruzione di questi Comuni è ancora un capitolo aperto: «Mancano 150 milioni di euro per opere pubbliche e 280 milioni per l’edilizia privata», sottolinea il coordinatore dei Comuni del Belìce. Negli anni ’70 e negli anni ’80 del secolo passato le polemiche si sono sprecate. Accusando i Comuni di questa Valle dei ritardi. Dimenticando due cose. 

Prima cosa: la ricostruzione di questi Comuni, nei primi vent’anni del post terremoto, è stata gestita direttamente da Roma, tramite l’Ispettorato per la ricostruzione dei Comuni della Valle del Belice. La manciugghia era organizzata da Roma, probabilmente con i mafiosi della zona (le trattative con la mafia in Italia sono state tante, da Garibaldi fino ai nostri giorni). Ruberie subite dagli abitanti di queste zone. 

Seconda cosa: i fondi stanziati nel corso di questi 47 anni per i Comuni della Valle del Belice sono stati, a prezzi costanti, di gran lunga inferiori, in proporzione, a quelli stanziati per altre parti d’Italia (Friuli e Campania). Solo quando la situazione è passata nelle mani degli amministratori di questi Comuni si è vista un po’ di luce. Ci sono Comuni che sono cresciuti, come, ad esempio, Menfi, in provincia di Agrigento. E ce ne sono altri rimasti indietro. Ricorda amareggiato Nicolò Catania: «Gli impegni assunti da alte cariche istituzionali, che sono venute in questi territori, sono serviti a poco. Neanche quelli di Maurizio Lupi, attuale ministro delle infrastrutture e del presidente della Regione, Rosario Crocetta, che lo scorso anno si sono attivati per trovare soluzioni definitive. Si era parlato di zona franca, ma non abbiamo visto i fatti. Anzi, la poca attenzione verso questo territorio è stata dimostrata da tutt’altre azioni, come la tassazione Imu dei terreni agricoli e il via libera alle trivellazioni nel Belice. O, peggio ancora, al latrocinio sui fondi Pac. A cui si aggiunge l’estromissione totale dalla legge di stabilità 2015, nonostante gli emendamenti parlamentari, seguiti dal coordinamento e dai senatori siciliani. Emendamenti che, dopo essere stati puntualmente presentati e dichiarati ammissibili, con un ulteriore scippo, operato dal governo Renzi, sono stati eliminati». 

«Dopo tante sollecitazioni – racconta sempre il coordinatore dei sindaci della Valle del Belice – il presidente della Regione, nello scorso mese di novembre, ha proceduto a nominare la speciale commissione sul Belice con il compito di affiancare lo stesso governo regionale nell’attività di programmazione negoziata relativamente all’utilizzo dei fondi strutturali comunitari 2014-2021. Solo che la commissione speciale, a tutt’oggi, non è mai stata convocata dallo stesso presidente Crocetta. I 35 milioni di euro stanziati nella legge di stabilità del 2013 non basteranno per chiudere la ricostruzione. Siamo disposti a sottoporci al controllo diretto degli ispettori ministeriali per la verifica dei nostri conti – aggiunge provocatoriamente Catania -. Quel fabbisogno per questo territorio non l’ho determinato io, ma una commissione parlamentare della Camera dei Deputati nel 2006». 

Tutto questo clima di sfiducia nelle istituzioni regionali e centrali ha portato quest’anno Catania a coinvolgere l’Anci, «perché poi alla fine siamo noi sindaci a vivere i problemi concreti del territorio e delle nostre comunità. Ritengo che non possiamo ulteriormente attendere soluzioni definitive che non vengono proposte dal nostro legislatore – dice sempre il primo cittadino di Partanna -. Dobbiamo rimboccarci le maniche. Lottando per ottenere ciò che è un diritto legittimo: sviluppo, infrastrutture, servizi. Non si può solo pagare i balzelli che ci chiedono i nostri governi, senza ottenere nulla in cambio: solo tagli e mortificazioni. Non si può più sottacere il divario economico e sociale tra i nostri territori e quelli da Roma in su. Lo stesso presidente della Repubblica Napolitano, durante la sua visita nel nostro territorio nel 2009, ebbe a dire che non è ammissibile consentire queste diversità tra territori di una stessa Repubblica. E’ in nome di questa unitarietà, rivendicata prepotentemente dal nostro territorio, che da ora in avanti verrà condotta la battaglia del Belice. Non solo lotta per la ricostruzione, bensì per il rilancio socio- economico del Belice».


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Nel 1968 il violento sisma ha colpito 21 Comuni. Ancora oggi la ricostruzione è incompleta. «Mancano 150 milioni di euro per opere pubbliche e 280 milioni per l’edilizia privata, stima fatta da una commissione parlamentare della Camera dei Deputati nel 2006», spiega il coordinatore dei sindaci Nicolò Catania, che non ha smesso di lottare

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