Il sogno multietnico del San Berillo Calcio Junior Sport nel cuore di Catania per «abbattere barriere»

«Il nostro è un progetto che si muove nel sociale: vogliamo promuovere il piacere di giocare e allenarci assieme, a prescindere dal risultato»: sono le parole di Fabrizio Cappuccio, uno dei sei tecnici e gestori della Palestra popolare sportiva etneagruppo sportivo nato circa un anno fa, completamente autofinanziato e che vede nello sport un veicolo di integrazione, conoscenza reciproca, lotta al razzismo e a ogni forma di discriminazione. Sport fra la gente, sociale, mirante all’abbattimento di qualsiasi tipo di barriera: «Puntiamo ad andare oltre le divisioni, vivendo l’agonismo attraverso valori che non siano focalizzate solo sulla vittoria – dice a MeridioNews l’intervistato – ma alla condivisione dell’attività sportiva. Lo sport popolare è, al tempo stesso, riscoperta di comunità e di luoghi abbandonati, nascendo in quei contesti in cui non si vedono margini di profitto. Il guadagno è l’antitesi».

Nella cornice di questo particolare modo di intendere lo sport vede la luce un progetto unico per le nostre latitudini: quello del San Berillo Calcio Junior, una squadra di calcio a 7 composta da 23 ragazzi che vivono all’interno del popoloso quartiere catanese. Un gruppo eterogeneo, composto da giovani di diverse nazionalità, uniti però da una fortissima identità e dall’amore per il gioco più amato al mondo: «Questi ragazzi già giocavano assieme a San Berillo, con il sogno creare una squadra vera e propria – racconta Fabrizio Cappuccio – Noi ci siamo detti: proviamoci e vediamo se, attraverso la solidarietà, è possibile riuscire a far crescere la squadra del quartiere». 

Punto di partenza singolare, ma c’è un elemento che ha spinto la Polisportiva etnea a credere nell’idea: «I problemi di San Berillo sono i più disparati, è un quartiere che non si è mai ripreso da quando è stato sventrato, c’è una totale assenza di servizi, campi sportivi, palestre e parchi giochi. San Berillo – ricorda Cappuccio – è andato anche ghettizzandosi, quasi allontanandosi dal resto della città. Ma proprio questo, paradossalmente, ha creato una grandissima unione tra i ragazzi della squadra». 

L’alchimia creatasi è elemento clou. «Il gruppo va dagli otto ai quattordici anni. Ci alleniamo da circa un mese e mezzo in piazza Carlo Alberto o, in alternativa, in una palestra di via Coppola in fase di costruzione. Per la storia quartiere – ricorda Fabrizio – i ragazzi sono abituati a vivere fra le diversità più disparate. E nonostante ciò non ci era mai capitato di vedere una tale abitudine al rispetto dell’altro. Vediamo in loro la speranza di una società migliore». Sono tante le nazionalità presenti nel gruppo: ci sono ovviamente i ragazzi catanesi, quindi un folto gruppo di ghanesi e senegalesi, oltre a un sudamericano: «Tra di loro però non esiste nessun tipo di discriminazione razziale, vivono nel quartiere fianco a fianco. Nella mia vita – aggiunge l’uomo della Palestra popolare –  mi è capitato di sentire anche involontariamente insulti a sfondo razziale, ma con loro non è mai successo».

Viene fuori, così, un puzzle di storie e origini diverse, unite dalla vita in un quartiere complicato e dalla passione comune per il calcio. I due allenatori sono Mauro Sapienza e Dino Gigliuto, nella speranza che altri decidano di unirsi e dare nuova linfa al progetto. Mercoledì 27 dicembre, in tal senso, ci sarà una prima iniziativa per farsi conoscere meglio dalla città. In Via Opificio, dalle 16 alle 21, in una officina di biciclette, verrà presentato il progetto del San Berillo Calcio Junior. Con una raccolta fondi si potrà contribuire all’acquisto di tutti i materiali tecnici necessari per gli allenamenti. Palloni, casacche, scale a pioli per l’agilità, ostacolini, conetti e palle mediche: oggetti che danno corpo al sogno di questi ragazzini (per contribuire basta scrivere alla pagina Facebook @San Berillo Calcio Junior). 

«Loro – annota alla fine Fabrizio Cappuccio – non guardano a Juve e Milan, ma sognano la loro squadra di quartiere, manifestando in questo modo il loro forte senso di appartenenza. Sono una comunità e se dei ragazzini dimostrano che, in maniera spontanea, possono abbattersi le barriere, vuol dire che è possibile farlo in qualsiasi altra parte d’Italia». 


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