Il Pierrot di Watteau, tra il Louvre e il Palazzo dei Re

LA STORICA DELL’ARTE BARBARA MORANA TRACCIA COLLEGAMENTI TRA IL QUADRO DI WATTEAU, LA COMMEDIA DELL’ARTE, IL DON GIOVANNI DI MOLIERE E IL PALAZZO DEI RE

di Barbara Morana

Ho sempre percepito il mondo come un’immensa tela, vivo osservando tutto ciò che mi circonda rifacendomi al mio campo d’azione ovvero la storia dell’arte quindi non vi allarmate se il mio ragionamento vi sembrerà un po’ fuori tema. Infatti, io non vi parlerò dell’ultimo libro di Aldo Penna, o per meglio dire, certo che parlerò del libro, ma partendo dalla sua copertina: ovvero il “Gilles” o “Pierrot” che si trova al museo del Louvre a Parigi, del pittore rococò francese Jean-Antoine Watteau. Come sempre, partendo da quello che conosco arrivo a quello che suppongo, con ragionamenti validi e coerenti argomentando la mia tesi rifacendomi ai personaggi del libro di Aldo Penna “Il Palazzo dei re”.
Quando Aldo Penna mi ha inviato la copertina del libro per chiedermi cosa ne pensassi, nella mia testa contorta di storico dell’arte, affetta da immunodeficienza da coerenza figurativa, si è scatenata una vera bufera. Mi chiedevo perché Aldo avesse pescato proprio quell’immagine, a me carissima, e non un’altra! Infatti, quest’olio su tela di 184 x 149 mi riportava ai miei anni universitari a Parigi, alle prime letture di Erwin Panofsky e alle conferenze di Pierre Rosenberg alla Sorbonne, durante le quali l’allora Direttore del Louvre sosteneva la schiacciante modernità di Watteau rispetto ai suoi contemporanei. Senza contare poi che quell’omone bianco e triste di quasi 180 centimetri che ti scruta dall’alto non si dimentica facilmente, dimenticarlo è pressoché impossibile, infatti Watteau sposta il punto di vista molto in basso, per far sì che più che osservare il quadro uno si senta osservato dal quadro.
Insomma mi chiedevo perché tra miliardi di immagini Aldo Penna avesse scelto una delle icone più enigmatiche e controverse della storia della pittura?
All’inizio avevo pensato che forse la scelta del “Pierrot” di Watteau fosse dovuta al fatto che Flores questa volta non sarebbe riuscito a risolvere il caso lasciandoci quell’amaro in bocca che solo il terzo libro di Aldo avrebbe addolcito. Infatti, la tela da secoli è avvolta dal mistero assoluto, non si sa nulla di certo, tutto è incerto a partire dalla data di esecuzione 1718 o 1719, o se sia il ritratto di Belloni o un autoritratto dello stesso Watteau come vuole Panofsky? (ahimè temo che non lo sapremo mai!).
Credetemi aspettavo il libro per ritrovare Gaetano Flores naturalmente, ma soprattutto per riuscire a scoprire l’arcano. Vi chiederete: ma questa perché non l’ha chiesto direttamente ad Aldo? troppo semplice il mio codice etico me lo proibiva, meglio arrivarci da sola, e poi la mia osservazione delle cose sicuramente non sarebbe stata la stessa di Aldo o di un qualsiasi altro lettore del libro.
Ebbene ho letto il libro e posso affermare oggi, con cognizione di causa, che non esisteva un’immagine più attinente e appropriata del “Gilles” o “Pierrot” del buon Watteau per il libro di Aldo Penna “Il Palazzo dei Re”. Oggi voglio condividere questa mia affermazione con voi e lo farò interpellando il dipinto in questione.
Per arrivare al “Palazzo del Re” però devo fare due brevissime premesse. Guardiamo insieme quella che ad oggi è la lettura ufficiale del soggetto del quadro la stessa che troverete sul sito del museo del Louvre: Pierrot e non più Gilles, come venne a giusto titolo ribattezzato nel 19° secolo. In effetti, stabilire una volta e per tutte il soggetto raffigurato da Watteau è importantissimo, poiché Gilles è una figura mascherata della tradizione franco-belga invece Pierrot è un personaggio riconducibile alla commedia dell’arte italiana. Non vi sono dubbi che l’abito indossato dal personaggio di Watteau richiami il Pierrot della Commedia dell’arte, ovvero il discendente francese di uno dei primi Zanni della commedia dell’Arte, Pedrolino. I Gilles infatti vestivano con colori molto sgargianti ed indossavano una maschera. Il Pierrot è la versione francese del Pedrolino della Compagnia dei Gelosi veneziana, questo Zanni sfacciato, scaltro e disonesto lascia il posto all’onesto e sognatore Pierrot, innamorato della luna e di colombina, e protagonista indiscusso del quadro di Watteau.
Quindi, prima di tutto identifichiamo i personaggi del quadro (Fig. 1), troviamo Pierrot al centro e alle sue spalle diversi personaggi della commedia dell’arte. Dietro i cespugli a sinistra riconosciamo i due amanti Leandro e Isabella e il Capitano, e a destra, in groppa al suo asino, riconosciamo il dottore. Come potete notare sono tutti personaggi della commedia dell’arte italiana, molto in voga in Francia sin dal Cinquecento. Per altro, è interessante notare che la commedia dell’arte venne bandita dalla capitale francese nel 1697 per volere di Luigi XIV, poiché durante la messinscena della commedia “La fausse prude” vennero mosse pesanti allusioni e poco celate critiche nei confronti dell’allora amante del Re Madame de Maintenon, il teatro la comédie italienne venne chiuso subito dopo la prima dello spettacolo e riaperto solo nel 1716, data molto vicina al dipinto di Watteau datato 1718-1719.


L’amore di Watteau per il mondo dello spettacolo è noto a tutti, si racconta ch’egli andasse sempre in giro con una valigia piena di costumi teatrali da fare indossare ai propri soggetti ogni qual volta ne avesse bisogno. Quindi attenendosi alla versione ufficiale, il soggetto, sebbene inusuale in seno al repertorio rococò imperante in Francia a quell’epoca, raffigurerebbe una scena della commedia dell’arte, il triste Pierrot prima di entrare in scena, o chissà già in scena nell’impossibilità di recitare a braccio il personaggio che gli era stato assegnato, consapevole dell’inutilità dello svolgersi del dramma giocoso, invade la tela, immobile, ci scruta silenzioso, supplicando forse un aiuto.
Non fa una piega, solo che oggi io in questo quadro voglio vedere la raffigurazione da parte di Watteau di un’altra commedia, questa volta tragica, “Il Don Giovanni o il convitato di pietra” di Molière (fig.2).

Questa commedia tragica in 5 atti di Molière che data del 1665, per me è la chiave di lettura del quadro, o per lo meno mi serve leggerlo così per poter affermare l’affinità di tale immagine con la storia narrata da Aldo Penna.
Watteau rappresenta una scena del II atto del Don Giovanni di Molière: Pierrot in primo piano consuma silenzioso il tradimento dell’amata Carlotta che ahimè si fa sedurre dall’affascinante e crudele Don Giovanni, che incurante del fatto che Pierrot gli avesse salvato la vita impedendogli di annegare, abusa della fidanzata di questi, con la connivenza del servo Sganarello, complice compiacente delle malefatte del proprio padrone. A destra, quasi a voler anticipare allo spettatore che presto giustizia sarà fatta, Watteau dipinge il Commendatore, ovvero il padre di una delle vittime di Don Giovanni, ch’egli aveva ucciso per sbaglio 6 mesi prima. Infatti il commendatore è raffigurato alla destra del personaggio principale (quindi siede alla destra del padre), a rafforzare questo ruolo salvifico del commendatore vi è il fatto ch’egli è posto in groppa ad un asino, e qui bisogna sottolineare che i padri della chiesa ci hanno lasciato un’interpretazione negativa di questo animale, essi sostenevano infatti che l’asino fosse il simbolo delle forze del male che si trovano sulla terra che il Cristo domina cavalcandole. Di fronte a lui, sopra la testa dei tre personaggi a sinistra, si erge una statua, ovvero la statua del Commendatore (la personificazione marmorea del defunto) che dal III atto appare a Don Giovanni e Sganarello e che finirà per portare Don Giovanni con sé all’inferno alla fine del V atto.
La giustizia divina trionfa sui peccatori irredenti, questa la morale tutta cristiana che sta alla base del Don Giovanni di Tirso de Molina, anche se devo sottolineare che il Don Giovanni di Molière è ricordato come il più laico dei Don Giovanni della storia della drammaturgia, quindi si tratta di una giustizia terrena, eseguita dagli uomini ed animata da semplice e atavica vendetta.Ma andiamo a noi, nel libro di Aldo ho identificato i personaggi a seconda delle qualità umane che li contraddistinguono (fig.3), mi piacerebbe chiamarli per nome e cognome ma non voglio svelare nulla a chi non ha letto il libro, anche se comunque dovrò fare qualche nome. Al centro ci sono gli onesti ovvero coloro che non decidono di esserlo ma che lo sono per difetto perche non possono fare altrimenti, la storia la subiscono non da passivi spettatori ma da attenti e acuti attori. Dominano lo spazio pittorico ma non la scena, che si consuma davanti ai loro occhi tristi e rassegnati. Sicuramente Gaetano e Di Jemma appartengono a questa tipologia, coloro che portano avanti i loro ideali di giustizia e verità come unico cammino da seguire, come il naturale svolgersi delle cose, essi vanno avanti malgrado siano consapevoli che il mondo di certo non lo potranno salvare da soli, ma a fine giornata dovendo rispondere alle rispettive coscienze scelgono sempre la retta via, malgrado a volte sembrino tentati da quella sbagliata.
A sinistra il trio della vittima, del complice e del corrotto. La vittima cede al male perché circuita da altre persone e, a differenza del corrotto e del complice, è un personaggio positivo, che distingue ancora il bene dal male, cerca la redenzione e alla fine la trova pagando un prezzo altissimo, il personaggio che spicca in questa categoria è sicuramente Claudia. I corrotti invece, come gli onesti, hanno semplicemente seguito la propria indole, incuranti delle conseguenze che le proprie azioni hanno sugli altri, il bene e il male per loro sono solo strumenti per giungere al proprio fine, in questa categoria rientrano sicuramente le due donne e Serravalle.
Il ruolo più vile, più bieco è ancora una volta affidato al complice, colui che sa e non dice niente, colui che tace cose atroci ed è pronto a parlare solo dietro compenso economico, di questa fattispecie il personaggio più riuscito è senz’altro Cardillo. Ricordiamoci che il buon Sganarello quando Don Giovanni muore si lamenta perché adesso non ci sarà più nessuno a pagare il suo compenso mensile, anche per loro non vi è redenzione, hanno venduto l’anima al diavolo da tempo.
In fine giungiamo al personaggio che sta a destra, a mio avviso il più carismatico e controverso del libro il Commendatore/Cavaliere colui che a spada tratta difende i propri ideali di giustizia e verità animato da un’energia e una fiducia arcaica nel proprio credo, egli obbedisce ai precetti di una fede laica che risponde alla sola giustizia terrena, dogmi e precetti che riesce a tramandare ai propri figli intatti, lo svolgersi dell’azione nel libro è animata da “questa verità che fu di suo padre e prima di lui dei padri dei loro padri”. In un mondo dove regna la giustizia divina di un Dio che non si vede, la figura del Cavaliere è la personificazione post-cavalleresca più riuscita del giustiziere divino, una sorta di dio su terra, che in nome e per conto suo propina a uomini e cose la sua versione contorta di giustizia e redenzione.
Come nella commedia drammatica di Molière egregiamente raffigurata da Watteau, Aldo Penna racchiude nel suo libro un dramma arcaico che poteva consumarsi a Palermo, a Tokyo, a Istanbul, a New York senza perdere un filo della sua tragicità, un briciolo della sua universalità, un grammo del suo acume, collocando ancora una volta la Sicilia come metafora del mondo. Con le loro lotte, i loro dubbi, i loro amori, i loro pentimenti, i personaggi che abitano il libro di Aldo Penna, al confine tra la sostanza e la forma, l’astrazione e la figurazione, con i loro pieni e i loro vuoti, sono uno, nessuno, e allo stesso tempo centomila.

Redazione

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