Pietro Polizzi sponsorizzava la propria candidatura in tandem con la moglie di un funzionario dell'Ast. «Lei è la candidata di Miccichè, tutta Palermo deve votare lei», sosteneva davanti ad Agostino Sansone, uomo legato alla mafia da decenni
Il patto con Cosa nostra del candidato di Forza Italia La promessa: «Se sono potente io, siete potenti voialtri»
«Siamo stati iunco… ci siamo calati alla china». La mafia dell’Uditore, a Palermo, ragionava così dopo avere incontrato Pietro Polizzi, dipendente dell’Agenzia delle Entrate e pretendente alla carica di consigliere comunale in vista delle imminenti elezioni amministrative. Già consigliere provinciale in quota Udc, Polizzi è stato arrestato con l’accusa di voto di scambio politico-mafioso. Con lui in carcere sono finiti anche Agostino Sansone, 73 anni, e Gaetano Manlio Porretto, 67 anni. Con loro Polizzi – inserito nella lista di Forza Italia – avrebbe stretto un patto illecito per ottenere voti in cambio di favori. «Se sono potente io, siete potenti voiaItri», sono le parole pronunciate dal candidato in un incontro avvenuto a inizio maggio in un ufficio di via Casalini, nel quartiere di Passo di Rigano. La proposta avrebbe trovato interessati Sansone e Porretto. Polizzi si sarebbe messo anche a disposizione per fare incontrare Sansone con un terzo soggetto non meglio specificato. «Il 2 giugno non mi devi domandare niente perché non ti ci
accompagno, il 12 dobbiamo aspettare… bordello c’è», è stata l’avvertenza data da Polizzi.
Agli atti dell’indagine sono finiti anche riferimenti all’Ast, dove una figura di vertice avrebbe contribuito a a fare accrescere il consenso elettorale di Polizzi. Il riferimento va al marito di Adelaide Mazzarino (non indagata), candidata in tandem con Polizzi e secondo gli indagati riferimento politico di Miccichè. «Tutta Palermo, a lei devi votare», rivelava il candidato forzista, accennando alla doppia preferenza concessa dall’attuale legge elettorale. Sansone, rimasto solo con Porretto, rifletteva sulla capacità persuasiva del gruppo dell’Uditore: «Oggi siamo nelle condizioni…», al che l’interlocutore replicava: «Siamo stati iunco, ci siamo calati alla china». La frase emblematica è contestualizzata dal gip Alfredo Montalto: «Descriveva plasticamente la capacità di resilienza della famiglia mafiosa dell’Uditore che, nonostante le numerose e continue condanne, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, i sequestri e i provvedimenti di misure di prevenzione personale e patrimoniale, era riuscita – specifica il giudice per le indagini preliminari – a resistere alla repressione e mantenere inalterato sia il proprio prestigio mafioso».
Agostino Sansone è fratello di Gaetano e Giuseppe Sansone, tutti ritenuti legati a Cosa nostra. Imprenditori edili, sono stati coinvolti nell’ultima fase della latitanza di Totò Riina, mettendo a disposizione la villa di via Bernini. Una nipote acquisita di Agostino Sansone – la figlia di Giuseppe, quest’ultimo attualmente in carcere – è inoltre figlia di una delle sorelle di Matteo Messina Denaro. A parlare dei fratelli Sansone sono stati negli anni diversi collaboratori di giustizia, tra cui Giovanni Brusca, che li indicava come soggetti che si occupavano «degli appalti pubblici». Lo stesso Agostino Sansone è stato condannato in via definitiva per mafia a inizio anni Duemila e attualmente si trovava ai ai domiciliari. Porretto, invece, allo stato è incensurato ma è indagato attualmente in un altro procedimento. «Può considerarsi intraneo al sodalizio mafioso», afferma il gip.