Il Papa si è dimesso (Misteri e Rivelazioni)

Dopo la clamorosa notizia delle dimissioni di Benedetto XVI, appena battuta dalle Agenzie di stampa, ripubblichiamo un articolo comparso sul nostro giornale il 15 aprile dello scorso anno, dove anticipavano questa possibilità e dove provavamo a spiegare gli scenari meno noti.

“Sento il peso dell’incarico, lascio per il bene della Chiesa” ha detto oggi 11 Febbraio 2013 il Papa. Che ha aggiunto “Non ho più le forze”.  Ora si convocherà il Conclave per l’elezione del suo successore.  

 

Dimissioni del Papa, i possibili retroscena. Sullo sfondo, l’ombra di Bilderberg

 

Il Papa può dimettersi? Misteri e rivelazioni (15 Aprile 2012)

di Giovanna Livreri

 

Il Papa si dimetterà? Quando, il 25 settembre 2011, i rumors in Vaticano divennero voci, qualche testata italiana (Libero e La Repubblica) avanzarono l’ipotesi che Benedetto XVI – in vista degli 85 anni – stava valutando anche la possibilità delle dimissioni. Le fonti venivano dalla stessa Curia romana. Ed invero tutto ciò prende spunto anche dalle parole dello stesso pontefice in un libro-intervista pubblicato nel 2010, in cui il Santo Padre – in via di principio – sottolinea apertamente per il Papa «il diritto e in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi».

Quindi il Papa Benedetto XVI sarebbe stanco e starebbe pensando di ritirarsi entro un anno (autunno 2012). A confermarlo una serie di esternazioni. Come quella del vescovo emerito di Ivrea, Monsignor Luigi Bettazzi. Il quale dice di non credere all’ipotesi di un attentato contro Ratzinger, rivelata tempo addietro dal “Il fatto quotidiano” e seccamente smentita come “farneticazione” dal Vaticano; ed ancora sulle pagine di ‘Libero’ si era poi sostenuto che il Papa sarebbe malato e quindi vicino alla fine del suo impegno pubblico. Un’ipotesi, quest’ultima, che non si allontana di molto da quella sostenuta da monsignor Bettazzi che, pur non parlando di malattia, dice che “Benedetto XVI (foto sotto tratta da lalibellulafollonica.blogspot.com) è molto stanco basta vederlo, è un uno abituato agli studi, non a un ruolo pubblico. E di fronte ai problemi che ci sono, forse anche di fronte alle tensioni che ci sono all’interno della Curia,
potrebbe pensare che di queste cose se ne occuperà il nuovo Papa”.

Bettazzi ha anche una sua teoria sulle notizie di stampa apparse sul futuro di Ratzinger: “Penso – dice il prelato – sia un sistema per preparare l’eventualità delle dimissioni. Per preparare a questo choc, perché le dimissioni di un Papa sarebbero uno choc, cominciano a buttare lì la cosa del complotto”.

I boatos sulle possibili dimissioni del Papa si sono moltiplicati, soprattutto sulla stampa straniera. Sono stati pubblicati articoli che si cimentano in pettegolezzi sullo stato di salute del Pontefice. Trovando mezze conferme in qualcuno dei documenti riservati usciti in questi mesi dai ‘Sacri palazzi’. Del resto, un uomo di 85 anni non può avere le energie di uno di 50 (e lo dimostra il calendario dei viaggi internazionali di Benedetto XVI, ormai ridotti al lumicino), ma certamente sta meglio del suo predecessore che per sostenersi si aggrappava al suo bastone pastorale.

In verità, il tema delle dimissioni del Papa ha ben altro spessore e merita riflessioni serie. Giuridicamente le dimissioni di un Papa sono previste dal Canone 332 del Codice di diritto canonico e storicamente non sono un inedito. Si sono verificati casi del genere sia nei primi secoli cristiani che nel Medioevo. Pensiamo a Celestino V, il Papa del ‘Gran rifiuto’ di dantesca memoria. Lo stesso Paolo VI, stremato dalla malattia, stava prendendo in considerazione questa possibilità (morì però in quelle stesse settimane). Infine è stato scritto che Pio XII, minacciato di deportazione dai nazisti, sotto l’occupazione tedesca di Roma, scrisse una lettera di dimissioni da rendere pubblica in caso fosse stato fatto prigioniero, affinché Hitler non potesse mai dire di avere nelle sue mani il Vicario di Cristo, ma solo il cardinal Pacelli. (foto a destra, monachesimo tratta da segnideitempi.blogspot.com).

La tempesta che ha travolto in questi mesi la Curia vaticana, in particolare la Segreteria di Stato, allontana l’ipotesi di dimissioni del Papa, il quale ha sempre precisato che esse sono da escludere quando la Chiesa è in grandi difficoltà e perciò potrebbero sembrare una fuga dalle responsabilità. D’altronde, nel caso di Papa Ratzinger non si tratterebbe di un drastico ritiro in qualche abbazia bavarese, a studiare, a scrivere e pregare (come ha sempre sognato di poter fare in vecchiaia), perché tornando Cardinale, di fatto, tornerebbe a ricoprire anche quella carica di Decano del Sacro Collegio che aveva già nel Conclave del 2005, da cui uscì Pontefice. Con le dimissioni Cardinale Ratzinger – oltretutto da ex Pontefice che ha nominato gran parte di quei prelati – si troverebbe a orientare assai autorevolmente la scelta del suo successore.

Oggi, in realtà, verrebbe da escludere l’attualità delle dimissioni nel pieno della sua opera di purificazione della Chiesa e di restaurazione liturgica, di rilancio missionario e dottrinale. Il Papa, infatti, deve raccogliere i frutti dell’importante viaggio in Centro America, il grande raduno sulla famiglia a Milano e, soprattutto, l’Anno della fede che ha fortemente voluto, con il quale arriverà anche la sua Enciclica sulla fede che è il centro del suo pontificato.

Tuttavia, è anche evidente l’opposizione del mondo e di un certo establishment teologico-clericale alle «grandi intuizioni» di Benedetto XVI e del predecessore, dalla traumatica (per la modernità laica) affermazione di «Cristo unico mediatore di salvezza» allo «sradicamento della speranza messianica incarnata nella rivoluzione politica», dalla chiara messa a punto nei confronti dell’Islam arrembante (Ratisbona), alla «ragione che argomenta la fede e si porta nello spazio pubblico» fino alla «legittimità della politica riguardo alle questioni non negoziabili dell’umanesimo cristiano (il discorso al Bundestag e molto altro)». Si potrebbe proseguire con la questione della morale in una modernità senza più orientamento umanistico e con il ritrovamento dell’antica liturgia della Chiesa a fronte delle dissennatezze post-conciliari. Con tutti questi fronti aperti le dimissioni sarebbero impensabili. Eppure, proprio un colpo di reni del genere potrebbe paradossalmente risvegliare tutta la Chiesa e salvare la Chiesa e la sua continuità .

La profezia di Fatima 
“Anche per la Chiesa verrà il tempo delle sue più grandi prove. Cardinali si opporranno a Cardinali; Vescovi a Vescovi. Satana marcerà in mezzo alle loro file, e a Roma ci saranno cambiamenti”. Questo annuncia l’ultima profezia di Fatima, quella tanto temuta e rivelata solo parzialmente sotto l’egida dell’attuale Papa Benedetto XVI, in quegli anni responsabile della congregazione per la dottrina della fede. Su quelle parole affidate dalla Vergine Maria ai pastorelli nel 1917 non furono divulgati particolari approfondimenti, ma la cronaca di oggi può facilmente far comprendere a tutti, non credenti compresi, il messaggio di ammonimento giunto attraverso le parole di quei bambini, ovviamente del tutto ignari delle dispute interne alla Chiesa di Roma.

Questo sarebbe il vero choc della profezia: un Papa che si dimette perché ritiene spiritualmente un dovere assecondare un rinnovamento e un rilancio che non cancelli il suo stesso magistero, ma anzi lo rilanci, ha direttamente la possibilità di influenzare con maggiore fondamento la successione. Scongiura il verificarsi di tremende profezie e promuove un’età regnante che renda meno ingovernabile il popolo di Dio. Toglie stagnazione dello spirito difensivo alla domus di Pietro.

Di certo se c’è un Papa capace di fare un tale gesto non può essere che Benedetto XVI. La riflessione coglie nel segno. D’altronde, e sono parole del Papa, Egli ha professato la totale consegna di sé nelle mani del Signore che deriva dalla sua certezza granitica che è Gesù stesso a guidare la Chiesa ed è sempre lui a rinnovarla attraverso i carismi, suscitando Santi e Profeti. Infine con un’imponenza di fatti soprannaturali nei tempi moderni – da Lourdes a Fatima e Medjugorije – che pare inedita nella storia bimillenaria della Chiesa: Medjugorije significa un mare di conversioni che non ha eguali negli anni del post-Concilio e che nessuna burocrazia clericale aveva progettato né immaginato. Il Papa cerca quindi il miracolo del rinnovamento della Chiesa, un rilancio della stessa per trovare slancio futuro. Imprevisti e miracoli fanno la storia della Chiesa. (a destra il Santuario di Fatima, foto tratta da sstrinita.net)

La conferma di questa necessità impellente ed irrinunciabile di rinnovamento della Chiesa deve essere letta anche alla luce di quanto accaduto appena un paio di mesi fa. La cronaca si era infatti occupata delle malefatte interne al Vaticano e il coinvolgimento, ancora una volta, dei vertici porporati in affari poco puliti e complotti interni. Al centro sempre montagne di denaro, che nessuno si potrebbe mai sognare, e giochi di potere per salvaguardare gli interessi di cordate di Vescovi e Cardinali, le une contrapposte alle altre. E le fonti che disvelano queste inquietanti trame potrebbero essere, per assurdo, vicine a un certo mondo, trapelate per vie per ora sconosciute, ma forse prodotto di qualche coscienza scomoda che vorrebbe vedere finalmente avviata una genuina opera di risanamento.

Quanto, quindi, ci accingiamo a riferire e riportare è quanto è stato ‘notiziato’, anche se in modo frammentario, dai quotidiani nazionali ed esteri e in particolare da fonti quali la Repubblica, L’Avvenire, Il Fatto Quotidiano, Il Foglio di Ferrara e Antimafia 2000. Noi quindi ci siamo limitati a rendere completo il quadro dei fatti assemblandoli per una visione complessiva del fenomeno.

Il ‘caso’ di Monsignor Viganò
La prima è l’incredibile vicenda di Monsignor Carlo Maria Viganò (foto sotto tratta da traditioliturgica.blogspot.com) oggi Nunzio Apostolico per la Santa Sede a Washington. Un carteggio interno reso noto dal giornalista di La7, Gianluigi Nuzzi, racconta dell’enorme lavoro svolto dal prelato per risanare le casse del Governatorato Vaticano chiuse con un bilancio disastroso nel 2010. Nello svolgere il suo compito, affidatogli direttamente dal Santo Padre, Viganò si rende conto che la ragione di spese esose e ammanchi di bilancio è da ricercarsi in un sistema di appalti truccati e fatture gonfiate con le quali si dissanguavano i
conti dell’Istituto. Infatti in un solo anno, con una gestione oculata, Viganò non solo riporta in pari il bilancio, ma apporta nelle ‘casse’ a lui affidate profitti per decine di migliaia di euro.

Chiaramente la sua opera di pulizia ha intaccato gli interessi di coloro che da quella gestione malata traevano benefici e guadagni illeciti che non hanno tardato a fargli sentire il loro disappunto. In una serie di lettere che il Monsignore indirizza direttamente al Papa e al Segretario di Stato, Tarcisio Bertone (che potremmo indovinare con buona approssimazione essere il nuovo Papa in pectore), si leggono chiaramente i nomi di coloro che si sarebbero macchiati dei reati e delle manovre messe in atto dai suoi molti nemici per isolarlo e, possibilmente, renderlo innocuo. Ecco un esempio dei suoi allarmanti rapporti a Benedetto XVI: “….Sul medesimo Mons. Nicolini sono poi emersi comportamenti gravemente riprovevoli per quanto si riferisce alla correttezza della sua amministrazione, a partire dal periodo presso la Pontificia Università Lateranense, dove, a testimonianza di S.E. Mons. Rino Fisichella (presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione ndr.) furono riscontrate a suo carico: contraffazioni di fatture e un ammanco di almeno settantamila euro.

Così pure risulta una partecipazione di interessi del medesimo Monsignore nella Società SRI Group, del Dott. Giulio Gallazzi, società questa attualmente inadempiente verso il Governatorato per almeno due milioni duecentomila euro e che, antecedentemente, aveva già defraudato L’Osservatore Romano, come confermatomi da Don Elio Torreggiani (direttore generale della Tipografia Vaticana Ndr) per oltre novantasettemila Euro e I’A.P.S.A., per altri ottantacinquemila, come assicuratomi da S.E. Mons. Calcagno (presidente dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede, Ndr). Tabulati e documenti in mio possesso dimostrano tali affermazioni e il fatto che Mons. Nicolini è risultato titolare di una carta di credito a carico della suddetta SRI Group, per un massimale di duemila e cinquecento euro al mese”.

Per tutta risposta, il Papa lo nomina Nunzio Apostolico, cioè Ambasciatore presso la prestigiosa sede di Washington, forse la più importante in assoluto. “Promoveatur ut amoveatur” si dice in questi casi, e vuol dire: “Promosso affinché sia rimosso”. Monsignor Viganò capisce perfettamente il senso di quella promozione e lo scrive direttamente al Santo Padre il 7 luglio 2011: “Beatissimo Padre, con profondo dolore e amarezza ho ricevuto dalle mani dell’Em.mo Cardinale Segretario di Stato la comunicazione della decisione di Vostra Santità di nominarmi Nunzio Apostolico negli Stati Uniti d’America. In altre circostanze tale nomina sarebbe stata motivo di gioia e segno di grande stima e fiducia nei miei confronti ma, nel presente contesto, sarà percepita da tutti come un verdetto di condanna del mio operato e quindi come una punizione”.

E’ il motivo che sconvolge il prelato. La sua missione di ripristinare ordine nei conti compiuta con devozione e successo invece di generare apprezzamento lo ha reso un fastidioso ostacolo per gli interessi di alcuni potentati. Non si arrende però e indirizza il suo sdegno direttamente al segretario di Stato Mons. Tarcisio Bertone: “Nella lettera riservata che Le avevo indirizzato il 27 marzo 2011, che affidai personalmente al Santo Padre attesa la delicatezza del suo contenuto, affermavo di ritenere che il cambiamento cosi radicale di giudizio sulla mia persona che Vostra Eminenza mi aveva mostrato nell’Udienza del 22 marzo scorso non poteva essere frutto se non di gravi calunnie contro di me ed il mio operato (…) ed ora, dopo le informazioni di cui sono venuto in possesso, anche in sincero e fedele sostegno all’opera di Vostra Eminenza, a cui è affidato un incarico così oneroso ed esposto a pressioni di persone non necessariamente ben intenzionate (…) con tale spirito di lealtà e fedeltà che reputo mio dovere riferire a Vostra Eminenza fatti e iniziative di cui sono totalmente certo, emerse in queste ultime settimane, ordite espressamente al fine di indurre Vostra Eminenza a cambiare radicalmente giudizio sul mio conto, con l’intento di impedire che il sottoscritto subentrasse al Card. Lajolo come Presidente del Governatorato, cosa in Curia da tempo a tutti ben nota”. Dopo aver fatto nomi e cognomi, Monsignor Viganò conclude scrivendo che “prossimamente oltre che per la vittoria del campionato da parte dell’ lnter, si sarebbe festeggiata una cosa ben più importante, cioè la mia rimozione dal Governatorato”.

La missiva prosegue per ben altri sei punti in cui Mons. Viganò sostiene dettagliatamente la propria causa, ma non serviranno a nulla, giacché la decisione è stata presa. Come da prassi, il Vaticano ha dapprima cercato di ridimensionare la faccenda, con un freddo comunicato pubblico di presa di distanza, ma la solidità dell’inchiesta di Nuzzi e, soprattutto, il montante fastidio di molti credenti, stufi per l’ennesimo scandalo, ha spinto la burocrazia vaticana ad assumere un atteggiamento di estrema durezza con il prelato colpevole di aver messo nero su bianco nomi e cognomi di coloro che disonorano la Chiesa di Cristo.

Probabilmente, Monsignor Viganò si potrà consolare con la fede in ciò che Cristo insegnò: “Beati coloro che saranno perseguitati a causa del mio nome” perché ha avuto il coraggio di verità.

I soldi off-shore 
Non è però l’unica vicenda emersa in poche settimane a dare grattacapi alla Chiesa. A ciò si aggiunge l’ultima operazione sospetta del settembre scorso segnalata alla Banca d’Italia sul trasferimento di 23 milioni di euro, attraverso il Credito Artigiano, alla Jp Morgan Frankfurt (20 milioni) e alla Banca del Fucino (3 milioni) che gli inquirenti ritenevano poco trasparente. Lo Ior è infatti considerato come una banca extracomunitaria cui vanno applicate le norme di controllo secondo quanto disposto dal decreto 231 del 2007 che regola in modo “rafforzato” le transazioni economiche dei Paesi che non fanno parte della “white list”, cioè che non operano in un regime di trasparenza tale da fugare i sospetti di riciclaggio. In una parola sola, Paesi off-shore. Questa classificazione non è mai piaciuta a Benedetto XVI che ha infatti personalmente fatto istituire uno strumento di controllo interno l’Aif (Autorità di informazione finanziaria) dietro l’emanazione di una specifica legge per la “prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose”. Per questa ragione, anche se non è la sola, la Procura di Roma aveva accettato di far dissequestrare le cifre in questione che, secondo le spiegazioni dei vertici della banca vaticana inquisiti, il presidente Gotti Tedeschi e il direttore Cipriani, erano frutto di un giroconto per acquistare bond tedeschi, ma l’inchiesta era rimasta comunque aperta.

Dal ‘ventre’ del Vaticano, però, proprio in questi giorni in un articolo de Il Fatto Quotidiano, si leggeva di una circolare interna e riservata agli uffici papali nella quale ci si chiedeva come e quanto dovesse essere efficace l’operato dell’Aif e se soprattutto le nuove regole dovessero essere retroattive o da applicarsi solo a partire dal mese di aprile 2011, quando è entrato in vigore il nuovo regime. La Santa Sede nelle parole del suo portavoce Lombardi, indaffaratissimo a parare colpi a destra e a manca, ha spiegato che si trattava solo di un appunto interno con normali richieste di chiarimento cui era seguita la direttiva di procedere a tutto campo. Sarà, ma il caso vuole che nell’ultimo anno lo Ior ha spostato gran parte dei fondi prima depositati presso nove banche italiane, di cui è cliente, fra le quali Intesa Sanpaolo e Unicredit, in istituti di credito tedeschi. Nessun mistero – rispondono gli economisti papali – sono più convenienti e costano meno. O sono più provvidenzialmente lontani dalle Procure italiane?

Il ‘caso’ Romeo
Insomma, se pur Benedetto XVI abbia cercato di avviare importanti iniziative di risanamento dell’etica finanziaria del suo Stato, intrighi e scandali continuano ad emergere smentendolo nei fatti. La settimana nera della città del Vaticano si è infatti conclusa con un clamoroso scoop di Marco Lillo, uno dei cronisti di punta de Il Fatto Quotidiano, che ha rivelato una lettera scritta dal Cardinale colombiano, Darío Castrillón Hoyos, al segretario di Stato nella quale lo avverte di un possibile complotto di morte ai danni del Pontefice. La missiva dai contenuti davvero incredibili riferisce che l’Arcivescovo di Palermo, Cardinale Paolo Romeo (foto a destra), nel suo ultimo viaggio privato in Cina, avrebbe non solo confidato delle lotte di potere interne al Vaticano, compresa la difficile convivenza tra il Santo Padre e proprio Monsignor Bertone, ma anche profetizzato il decesso del Papa entro 12 mesi e persino il designato successore. Monsignor Lombardi non ha potuto che accertare la veridicità del documento, ma ovviamente non si è potuto sbilanciare sul contenuto definito “sconclusionato”.

Vero o meno, lo spettacolo che si dispiega agli occhi dei fedeli e non solo ci restituisce l’immagine di una ‘Corte monarchica’ infestata da lotte di potere, inganni e tradimenti. Nulla a che fare con l’insegnamento Cristico, nulla a che fare con il sacrificio quotidiano di decine di sacerdoti sparsi in tutto il mondo a combattere per la sopravvivenza e dare da bere agli assetati e da mangiare agli affamati.

A tutto ciò si aggiungano le divisioni di potere interne al Vaticano che, in tutta la sua devastante gravità, potrebbero andare di scena , nel  conclave, per la designazione del successore di Pietro, tra Cardinali filo Opus Dei e Cardinali filo massonici di Alleanza Vaticana e, ancora, Cardinali filo sinistrorsi degli Illuminati. Ecco quindi calzante la profezia di Fatima accettata dalla Chiesa: “Anche per la Chiesa verrà il tempo delle sue più grandi prove. Cardinali si opporranno a Cardinali; Vescovi a Vescovi. Satana marcerà in mezzo alle loro file, e a Roma ci saranno cambiamenti”. A questa fa eco la profezia laica di San Malachia che vuole Giovanni Paolo II il penultimo Papa prima della fine del mondo. Secondo questa profezia, il Papa successivo a Giovanni Paolo II è caratterizzato dal motto latino De Gloria Olivae. Secondo molti interpreti, tale motto identifica un Papa latino americano o un africano, il famoso Papa Nero che allineava la profezia alle centurie di Nostradamus che, appunto, prevedeva un Papa nero per il nuovo Millennio.

L’avvento al soglio Pontificio di Benedetto XVI scongiurava le profezie di Malachia e Nostradamus e la conseguente fine del mondo. Ora, però, i più attenti osservatori e studiosi vaticanisti hanno notato come nello stemma di Benedetto XVI nel cantone destro dello scudo (a sinistra di chi guarda) vi è una testa di moro (un re negro) con labbra, corona e collare rosso appunto il De Gloria Olivae, il Papa Nero di Malachia prima dell’Apocalisse o della Parausia. Ecco perché il Papa deve dare una prova di forza e un forte “colpo di reni” se vuole riformare la Chiesa salvandola dal concreto baratro prospettato dalla profezia di Fatima e da tutte le altre profezie pagane e deve consentire che avvenga nella Chiesa il vero miracolo: Via i mercanti dal Tempio!

Dimissioni del Papa, i possibili retroscena. Sullo sfondo, l’ombra di Bilderberg

 

 

 


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