Ci risiamo: assolti per mancanza di prove. Noi siciliani purtroppo conosciamo bene questo tipo di assoluzioni che una volta erano anche troppo facilmente concesse a noti mafiosi. Evidentemente adesso questo tipo di motivazioni per assolvere vanno di moda al nord. In una partita di calcio una squadra commette atti di razzismo, a detta delle vittime, e laccusato è assolto perché non ci sono prove
Il giudice sportivo punisce una squadra che si ribella al razzismo
Ci risiamo: assolti per mancanza di prove. Noi siciliani purtroppo conosciamo bene questo tipo di assoluzioni che una volta erano anche troppo facilmente concesse a noti mafiosi. Evidentemente adesso questo tipo di motivazioni per assolvere vanno di moda al Nord. In una partita di calcio una squadra commette atti di razzismo, a detta delle vittime, e laccusato è assolto perché non ci sono prove La partita in questione è tutta settentrionale: tra una squadra piemontese (Casale Calcio dalla maglia nerostellata) e una lombarda (la Pro Patria di Busto Arsizio). Ma accade che tra i ragazzi della squadra piemontese cè un giocatore, Fabiano Ribeiro, nato a Torino il 21 Marzo 1994, con la pelle più scura degli altri. (nella foto tratta dal sito ufficiale del Casale Calcio, Fabiano Ribeiro).
Secondo la società del Casale (squadra detentrice di uno scudetto vinto nel 1913-14, nella foto in basso tratta da http://www.storiedicalcio.altervista.org) le cose sono andate così come pubblicato sul sito ufficiale della società (allindirizzo http://www.casalecalcio.it/media.php?id_news=f5b4b6f398281eb5d14b914a24acc233):
Partita sospesa fra Casale e Pro Patria nel campionato Berretti. La Pro Patria era in vantaggio per 2-0, per due reti segnate al 24′ (cross dall’esterno ribadito in rete dal centravanti) e al 37′ del primo tempo (tiro da fuori area).
Al 38′ del primo tempo il calciatore Fabiano Riberio è stato oggetto di un presunto insulto di carattere razziale, circostanza che ha suscitato un profondo sgomento nei giocatori e nello staff tecnico nerostellato i quali, autonomamente, hanno deciso di non proseguire la partita.
L’A.S. Casale Calcio si riserva di appurare quanto accaduto e la veridicità degli avvenimenti al fine di adottare i provvedimenti necessari. Nel contempo la società stigmatizza l’accaduto e si rimette a quanto sarà deciso dalle autorità federali competenti.
Invece il giudice sportivo della Lega Pro, Pasquale Marino, si esprime contro il Casale e dunque a favore della società passabile di atti razzisti. La sentenza, (pubblicata dalla Gazzetta dello Sport e leggibile a questo indirizzo: http://media2.gazzetta.it/gazzetta/pdf/2013/Lega-Pro_giudice-per-Casale-Pro-Patria.pdf) ha dell incredibile: commina ilo 0 3 a favore della Pro Patria, un ammenda di 500 EUR e un punto di penalizzazione al Casale! Evidentemente denunciare atti di razzismo in campo non paga, anzi. E un po comera denunciare il pizzo in Sicilia negli 60: lo Stato non era in grado (o non voleva) proteggerti e per giunta eri nei guai con punizioni esemplari di varia provenienza.
E non è finita qui. Infatti, si è trattato di una partita dei ragazzi della Berretti. Proprio quei ragazzi che giocano essenzialmente a scopi educativi. Bel modo deducare i giovani da parte del giudice sportivo! Non entriamo nel merito della sentenza, ma uscirsene con una tale punizione in maniera così frettolosa (in due soli giorni dallaccaduto!) e per giunta per sola mancanza di prove, ci sembra quanto mai inopportuno e questionabile.
Inoltre, la Pro Patria si è già fatta conoscere, purtroppo, per evidenti atti di razzismo da parte dei propri tifosi (o pseudo-tifosi, che per fortuna restano una minoranza) in un recente incontro amichevole con il Milan. In quel caso, tutti sono stati pronti a dare ragione al giocatore del Milan oggetto degli insulti. Tutti a dichiarare anche noi usciremmo dal campo, come fatto dal Milan in quella occasione, e anche in caso di partita valevole per una competizione. Tutti appresso al Milan, tutti a stigmatizzare il comportamento razzista di alcuni tifosi della Pro Patria che imitavano il verso della scimmia ogni volta che un giocatore più scuro prendeva la palla. E adesso? Tutto dimenticato. E certo! Adesso la società-vittima non è più il ricco Milan ma è una piccola società decaduta da tempo e che si ritrova in Lega Pro (lantica serie C). Non era il caso per lo meno di approfondire i fatti?
Ci dispiace dirlo, ma questa sentenza getta unombra sinistra sulla giustizia sportiva italiana, già da tempo al centro di polemiche a causa di giudizi frettolosi e per lo meno controversi a seconda della squadra e della società. Eppure ogni tanto vediamo i giocatori con magliette pubblicitarie degli organi sportivi con su scritto no al razzismo. E uno slogan esclusivamente di facciata? Il dubbio cè.
Speriamo dessere smentiti noi. E che il nostro giudizio sul giudizio sia poi giudicato a sua volta frettoloso. Ma avendo anche noi giocato a calcio e sapendo che in campo volano spesso molte parole, sappiamo e ripetiamo: ci sembra un giudizio frettoloso su un argomento molto grave e che merita ulteriore approfondimento. Non è che poi si scoprirà che qualcuno in campo e fuori ha preferito dichiarare al giudice (sportivo in questo caso) nenti vitti, e nenti sacciu? (non ho visto niente e non so nulla, per chi non capisce il siciliano). Non è che nel calcio vige la prassi delle tre scimmiette non vedo, non sento e non parlo?
Sarebbe il caso che la dirigenza del calcio italiano facesse piena luce sulla vicenda. E tante altre. Lo farà?