Il giornale in classe? C’è chi legge Step1…

Immaginate un laboratorio in cui invece di esaminare preparati chimici o sostanze biologiche ci siano articoli di giornale, titoli, dispacci di agenzia messi al vaglio di attenti indagatori alla ricerca delle “parole che escludono”: è questa l’attività che stanno facendo gli studenti della 1A del Liceo Virgilio di Empoli nelle ore in cui sono impegnati nel progetto “Investire in democrazia”. È già da alcuni anni che il Comune di Empoli e l’Agenzia per lo Sviluppo Empolese Valdelsa propongono alle scuole dei percorsi didattici con attività di laboratorio volte a sviluppare conoscenze e stimolare l’attenzione degli studenti intorno a tematiche “sensibili” che riguardano la convivenza civile e i valori fondativi della nostra democrazia.
 
Quest’anno tra le proposte presentate c’era quella di un laboratorio di analisi sulla percezione delle minoranze e la costruzione dell’immagine degli immigrati e dei rom da parte dei media e in genere della “diceria collettiva”. Il laboratorio è curato dal sociologo Giuseppe Faso, autore del libro “Lessico del razzismo democratico” pubblicato nel 2008, che ci ha fornito materiali da utilizzare e ci ha guidati nell’attività. All’inizio siamo stati condotti a confrontare le idee che ciascuno “spontaneamente” aveva su diversi aspetti del fenomeno immigrazione, con la realtà dei dati statistici ufficiali: è una sorpresa per tutti constatare, ad esempio, che gli arrivi spettacolari su barconi stracolmi a Lampedusa, rappresentano un’esigua minoranza degli arrivi in totale, ed è molto semplice dedurne il condizionamento che subiamo da parte della TV; e ce ne sono tante di queste “sorprese” . Un’altra, per esempio, si ha guardando il rapporto tra ciò che gli immigrati versano al fisco italiano e ciò che ricevono in termini di servizi a loro destinati: difficilmente una persona, per quanto scevra da pregiudizi, si avvicina, compilando un test, al dato reale, l’errore è sempre… a svantaggio dell’immigrato.
 
Poi ci è stato proposto una sorta di gioco psicologico: abbiamo visto un filmato in cui una signora americana, bianca, dall’aspetto elegante, si trova in una stazione ferroviaria, viene urtata da uno sconosciuto, le cade la borsa e il pacco che portava, raccatta tutto in fretta ma perde il portafoglio e anche il treno… Stressata e sconsolata, va alla mensa della stazione, con solo pochi spiccioli, sufficienti per un’insalata. Va a posarla sul suo tavolo, lascia sul sedile anche il pacco che aveva con sé e torna al bancone per prendere le posate; quando ritorna al tavolo trova un uomo, un barbone afroamericano, che sta mangiando l’insalata. La signora gli si siede di fronte in atteggiamento di sfida. L’uomo non fa una piega, mentre la signora prende dal piatto un po’ di insalata. I due continuano a mangiare dallo stesso piatto; quando finiscono l’uomo si alza, va a prendere il caffè e lo offre alla signora e poi va via. A questo punto si alza anche lei… Qui il filmato viene interrotto e ciascuno dice la sua. L’opinione prevalente è che la signora ha mostrato presenza di spirito e magnanimità tanto che poi il barbone le offre il caffè: insomma, trionfano i buoni sentimenti… Ma il filmato riprende e si scopre che …le nostre considerazioni e persino le nostre percezioni sono clamorosamente smentite. Alzandosi dal posto, la signora si accorge che nel tavolo accanto c’è il suo piatto di insalata intatto e il suo pacco ben in vista sul sedile… E noi? come mai non ci eravamo accorti dell’assenza del pacco? Come mai non avevamo capito che l’insalata era di quell’uomo, il quale, serenamente tollerava l’impensabile intrusione dell’elegante signora nel suo piatto e poi per giunta le offriva il caffè? Perché nessuno di noi aveva visto e capito che le cose non stavano come sembrava?
 
Ecco, queste sono state alcune delle attività preparatorie al laboratorio vero e proprio che ha per oggetto le parole usate nei media, il modo in cui si raccontano fatti e notizie. Ho pensato subito che il dossier di Step1 sul caso Auchan fosse particolarmente adatto allo scopo e l’ho proposto come esempio. Così Step1 è entrato in classe e ci è servito per seguire la costruzione di una notizia. Abbiamo confrontato il modo in cui il fatto della signora che accusava i rom di aver tentato di rapire la sua bambina venisse raccontato il 20 maggio 2008 da La Sicilia, dal Corriere della Sera e dalla Repubblica. Gli studenti hanno constatato che tutti e tre i giornali adoperavano in parte le stesse parole e le stesse frasi (come studenti che copiano il compito in classe, ha detto qualcuno!).
Da questo hanno imparato a riconoscere che la fonte è un dispaccio di agenzia giunto alle redazioni dei quotidiani, ma ciascuno confeziona la notizia a suo modo e così il linguaggio, usato più correttamente dall’agenzia, viene modificato o nei titoli o direttamente nel testo: il cronista dell’ANSA usava il condizionale, i due rom “avrebbero tentato di sequestrare una bambina di tre anni”, il sequestro “sarebbe avvenuto”, ecc., i titoli invece sono perentori: “Tentano di rapire bimba, rom arrestati” (La Sicilia) “Tentavano di rapire una bimba” (Corriere). Ma ancora questi due quotidiani conservano il condizionale nel testo, invece il redattore di Repubblica lo fa sparire: “mentre la mamma stava caricando la spesa in auto, la rom ha tentato di sollevare la bambina”, l’indicativo esclude il dubbio, per giunta il giornalista dice che, alla richiesta di elemosina, “la signora garbatamente ha risposto di non avere spiccioli”. Come fa a saperlo? Ha assistito alla scena? Ma se ha soltanto ricevuto un dispaccio di agenzia, e ci mette pure una denuncia dell’indifferenza della gente!
 
A questo punto la lettura dell’articolo di Step1 del 27 maggio “Storia di bimbi o di monetine?”, e i successivi, ci hanno mostrato, per contrasto, qual è il lavoro corretto di indagine, di approfondimento di una notizia, quali domande era necessario porsi, su quali aspetti concentrare l’attenzione (pensare alla possibile videoregistrazione dell’episodio, fare domande ai dipendenti dell’Auchan, dare informazioni sulla abituale presenza di quei rom in quel parcheggio, ecc.). Gli studenti hanno apprezzato moltissimo che la lezione di buon giornalismo venisse da loro colleghi, sebbene più “attempati”, cioè dagli studenti-giornalisti della facoltà di Lingue di Catania. L’anima del mestiere non dovrebbe essere questa? Andare oltre il velo (o la “velina” come si diceva al tempo del fascismo) dell’apparenza, porsi e porre domande, cercare la verità e non contribuire a costruire stereotipi.
 
Ora il lavoro didattico sta continuando: abbiamo esaminato notizie apparse sui giornali, alla ricerca proprio di quel tipo di distorsioni, ipotesi trasformate in certezze con grande enfasi e poi smentite il giorno dopo con uno smilzo trafiletto, fatti presentati senza nessuna contestualizzazione, assenza di dati che servano a comparare, eccetera. Per esempio il caso tragico di un uomo, di nazionalità albanese, che uccide un bambino in un incidente stradale e viene condannato a cinque anni, ma sta in carcere solo 8 mesi (pena ridotta in appello e libertà condizionale). I giornali danno conto delle proteste indignate, intervengono i politici, si attacca la magistrature, insomma uno ‘scandalo’. Ma poi ci vuole la lettera, bellissima, per dignità e sentimenti espressi, di una signora (il cui figlio pochi anni prima era stato vittima di un incidente simile) a un quotidiano per scoprire che in casi analoghi in cui il colpevole era un italiano i giorni di carcere erano stati 0, la patente subito restituita e nessun politico o giornalista minimamente interessato al fatto. Adesso ci siamo dati un mese di tempo per raccogliere altro materiale e realizzare un prossimo laboratorio, per diventare lettori critici, in grado di non subire troppo passivamente l’incantesimo delle “veline”.


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