Il «disegno scellerato» dietro la gestione dei morti del Covid «Pazienti in Terapia intensiva calano perché ce li scotoliamo»

Aggiungi, diminuisci, spalma e distribuisci. Erano le parole d’ordine di quello che la giudice Caterina Brignone ha bollato come «un disegno politico scellerato». I numeri di morti, contagi e terapie intensive in Sicilia sarebbero stati gestiti a tavolino, secondo i magistrati della procura di Trapani, per tenere l’isola a galla, lontana dallo spettro di lockdown, saracinesche abbassate e zone rosse. Nell’inchiesta che ha provocato un terremoto nella sanità dell’Isola, e in cui l’assessore alla Salute Ruggero Razza è indagato e dimissionario, un ruolo fondamentale è quello rivestito da Maria Letizia Di Liberti, dirigente generale al dipartimento Attività sanitarie e osservatorio epidemiologico finita agli arresti domiciliari. Nelle 247 pagine dell’ordinanza, con cui è stata disposta la misura cautelare, il suo nome viene citato quasi duemila volte. Per i pm è lei la figura chiave che avrebbe gestito in modo anomalo i dati Covid da inviare giornalmente al ministero della Salute e all’Istituto superiore di sanità.

Sulla carta i numeri, come disposto con una direttiva risalente a novembre 2020, dovevano essere raccolti dalla Regione estrapolando quelli caricati dalle Asp e dai laboratori nella piattaforme informatiche Qualità Sicilia e Gecos. Di fatto la raccolta avveniva «attraverso una estenuante serie di telefonate per richiederli e sollecitarli», si legge nelle carte dell’inchiesta. Subito dopo, numeri alla mano, i collaboratori si confrontavano con la dirigente che «decideva quali dati comunicare». Così i numeri sarebbero stati «adeguati» in modo da «modificare artificiosamente la curva del contagio». Agli atti sono finite centinaia di intercettazioni telefoniche in cui emergerebbero «indizi di colpevolezza chiari e convergenti».

L’assessore Razza, nella ricostruzione dei pm, non avrebbe avuto nulla da obiettare davanti alla gestione elastica dei dati Covid. In un’occasione, risalente al 4 novembre 2020, quando la Sicilia entrò in zona arancione, l’assessore indicava di «spalmare» il numero dei morti. Il riferimento era al numero di decessi – sette – rilevati nel territorio di Biancavilla, in provincia di Catania, da distribuire su più giorni. Il passaggio in zona arancione, disposto dall’allora governo guidato da Giuseppe Conte, suscitò non poche polemiche in Sicilia. Il presidente Nello Musumeci – non indagato – parlò addirittura di un complotto a livello centrale contro le Regioni guidate dal centrodestra. In quell’occasione anche negli uffici non mancarono i commenti sugli umori dei vertici dell’assessorato. «Il problema è che i positivi sono aumentati in maniera incredibile – diceva la dirigente – mentre l’andamento delle terapie intensive non è stato così repentino». Il motivo lo sintetizzava Ferdinando Croce, vice capo di gabinetto dell’assessorato alla Salute e candidato alla regionali 2017 con Diventerà Bellissima: «Le terapie intensive diminuiscono perché ce li scotoliamo (ce li togliamo di torno, ndr)», affermava «con tono sarcastico», precisano gli inquirenti nei documenti dell’indagine

Il 22 novembre al telefono vengono registrate le voci di Letizia Di Liberti e il direttore del servizio 4 Mario Palermo. Al centro della discussione 19 decessi «da recuperare», ossia morti dei giorni precedenti non ancora inseriti nei bollettini giornalieri. «Guarda non li mettere questi – diceva la dirigente – mettiamoli domani». A questo punto Palermo le lanciava l’allarme: «Domani saranno di più  – spiegava al costante aumento delle vittime di quel periodo – 19 li dobbiamo ancora inserire». Il problema dei deceduti da recuperare nei conteggi si ripropone qualche giorno dopo. Il 29 novembre Di Liberti discute di 25 pazienti deceduti ma non ancora inseriti. «Ormai i morti sono molti ogni giorno, se invece di 40 sono 42 o 43 non se ne accorge nessuno», diceva la dirigente adesso ai domiciliari. Copione praticamente identico a pochi giorni dall’inizio del 2021. «Abbiamo trovato 140 morti non comunicati», continuava al dirigente riferendosi a uno dei più stretti collaboratori dell’assessore. Prima di interrompere la conversazione la dirigente affermava che «non possono aggiungerne 40 ma ne inserirà cinque al giorno in tutte le Asp».


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