Il commento/ L’ennesimo “No” della Giustizia per Totò Cuffaro

Fonte: Il Garantista

Un altro no a Salvatore Cuffaro. La prima sezione della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso proposto dall’ex governatore della Sicilia contro la decisione con cui il Tribunale di sorveglianza di Roma gli aveva negato l’affidamento ai servizi sociali.

Non si conoscono ancora le motivazioni del provvedimento che ha avallato la pronuncia con cui il Tribunale di sorveglianza aveva negato il beneficio ipotizzando che Cuffaro potesse ancora collaborare con la giustizia ed offrire elementi di accusa a carico di soggetti rimasti ignoti.

La Procura generale, invece, si era espressa per l’accoglimento del ricorso ed aveva evidenziato la non corretta applicazione, da parte del Tribunale di sorveglianza, dei principi giurisprudenziali elaborati dalla Suprema corte in materia di collaborazione impossibile. Impossibile collaborare con la giustizia, infatti, quando i fatti oggetto di reato sono stati completamente disvelati e nessun ulteriore elemento di conoscenza è dato presumere in capo al soggetto, ulteriore rispetto alle contestazioni per cui è stato imputato e condannato.

E, in effetti, i reati che Cuffaro espia, la trasmissione di notizie coperte da segreto e il favoreggiamento aggravato, sono ormai completamente chiariti rispetto a partecipi e modalità di azione.

Tanto ciò è vero che lo stesso Tribunale di sorveglianza di Roma, nel valutare i medesimi episodi per il coimputato di Cuffaro, Mimmo Miceli, gravato dalla più pesante condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, hanno ammesso l’integrale accertamento di fatti e responsabilità ed escluso che Miceli potesse ancora rendere una utile, quindi “esigibile” collaborazione con la giustizia. Mimmo Miceli, concorrente esterno, è ora affidato ai servizi sociali.

La Corte Costituzionale, peraltro, chiarisce con statuizioni ferme e reiterate che se il detenuto ha dato prova con la propria condotta carceraria di un percorso di rivisitazione critica del proprio passato tale da renderlo idoneo al reingresso nel sociale, lo sbarramento della collaborazione deve essere superato e cedere il passo alla pretesa costituzionale che il carcere non sia mera punizione ed afflizione, bensì rinascita e rieducazione. Un percorso di maturazione e progressione trattamentale già intervenuto che sostanzia la rieducazione del reo, dunque, deve prevalere, per volere dei Padri Costituenti, sull’accertamento della intervenuta collaborazione ovvero della inesigibilità di essa.

Ebbene, con una relazione scritta, gli operatori intramurari deputati all’osservazione del detenuto ed alla verifica del suo atteggiamento emotivo e comportamentale, già nel maggio 2013 attestavano il compimento da parte del recluso Totò Cuffaro, di un percorso rieducativo condotto con responsabilità, impegno ed autocritica, attraverso una rivisitazione autentica del proprio vissuto e dei propri errori, relazionavano su un ambiente familiare certamente positivo ed estraneo a logiche devianti, concludevano con un giudizio di idoneità del ristretto ad essere ammesso a tutti i benefici penitenziari.

Così stando le cose, Cuffaro dovrebbe avere accesso ai benefici penitenziari, dai permessi premio alle misure alternative alla detenzione.

Cuffaro, però, è ancora in carcere a contemplare il suo pezzetto di cielo. Gli manca il cielo tutto intero, lo ripete spesso, e il respiro lungo della vita. Gli mancano gli affetti, la sua famiglia. Le sentenze si rispettano, il senso dello Stato lo impone, questo il suo karma. Ha appreso in carcere della morte di suo padre. Non lo ha visto morire, non ha raccolto i suoi ultimi respiri, non ha scambiato con lui l’estremo, il più intenso raccordo del sentire.

Ogni figlio avrebbe diritto a pretendere questo momento di condivisione. La legge, infatti, contempla per tutti i reclusi, il permesso di necessità che si concede proprio quando uno stretto congiunto sia in imminente pericolo di vita. A volte, però, la morte arriva, e basta. Cuffaro non ha fatto in tempo e non ha potuto neppure prendere parte ai funerali del padre. E’ morto durante le feste e la richiesta di permesso ha atteso il magistrato di turno. Poi il permesso è stato concesso, per la tumulazione, senza scorta perché il detenuto ha dato prova di non essere pericoloso, afferma il giudice che concede il beneficio.

Più di un anno dopo Cuffaro ha chiesto un altro permesso, per baciare sua madre. Ha novant’anni e numerose patologie che la rendono inferma. Non la vede dalla tumulazione del padre. Comincia ad avere momenti di smarrimento cognitivo e piange, piange per l’assenza del figlio della quale non ricorda, né comprende le motivazioni. Il giudice di sorveglianza di Roma respinge la richiesta poi avallato dal Tribunale collegiale: nonostante i novant’anni e le gravi condizioni di salute, la mamma di Cuffaro non sta per morire, non è certificato; ha già avuto la possibilità di vedere il figlio in occasione del precedente permesso (oltre un anno prima!); non è detto che, stante il decadimento cognitivo, sia in grado di apprezzare il momento di ricongiungimento affettivo.

Dov’è la tutela della famiglia e degli affetti? La tensione alla rieducazione, alla risocializzazione, alla restituzione della persona detenuta al proprio ambiente dopo un percorso di miglioramento e di cambiamento?

Per fortuna Totò Cuffaro è già rieducato perché da un atteggiamento simile, esule totalmente dal rispetto dell’uomo e dell’umano sentire, nessuna spinta positiva può germogliare. Totò Cuffaro è rieducato e persevera nel suo Karma.


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