Il clan di San Mauro Castelverde e il dominio sui campi agricoli «Si credevano impuniti, volevano guadagnare sempre di più»

L’operazione Terre Emersemessa a segno ieri dalla guardia di finanza, ha riacceso i riflettori sul mandamento mafioso di San Mauro Castelverde, nel cuore delle Madonie. Di certo non uno dei più noti, grazie anche alla lontananza geografica dal capoluogo, ma storicamente uno dei più estesi di tutta la Sicilia, protagonista negli anni anche di azioni sanguinarie che ricalcano in pieno lo stile di Cosa nostra. Si tratta di un mandamento praticamente interprovinciale, visto che è stato in grado di estendere i propri tentacoli anche al di là dei confini del Palermitano, laddove le Madonie confinano con i Nebrodi, spingendosi sulla costa fino a centri importanti del Messinese come Mistretta e Sant’Agata di Militello. Una sorta di terra di mezzo che ha fatto da congiunzione anche a livello diplomatico tra le famiglie di Corleone, Villabate e Belmonte Mezzagno e delle province confinanti. Negli ultimi anni il mandamento è stato già colpito da operazioni di polizia, come Black Cat, che portò alla luce storie di estorsioni e appalti sul territorio madonita. Sono questi gli anni in cui la reggenza sarebbe stata condivisa dai fratelli Virga: Domenico e Rodolfo, finiti in manette nell’operazione di ieri. 

«La considerazione che questo mandamento ha avuto all’interno di Cosa nostra – si legge nelle carte di Black Cat – oltre a derivare dalla particolare rigidità dei vincoli esistenti tra gli associati e da una marcata connotazione agro-pastorale, è da collegare alla carismatica figura del reggente storico del mandamento, Giuseppe Farinella, detto don Peppino e al suo ruolo in seno dell’organizzazione mafiosa Cosa nostra». E proprio da una sorella di don Peppino, Agostina, sono nati Domenico e Rodolfo Virga, che avrebbero consolidato la propria influenza all’interno del clan dapprima guidando la famiglia di Gangi, loro paese di origine. Ma è proprio degli intrecci familiari che si fa forte il mandamento, quasi ricalcando la falsa riga delle famiglie nobiliari di un tempo. Rodolfo e Domenico, infatti, sposano rispettivamente la figlia di Benedetto Capizzi e la figlia di Francesco Adelfio, entrambi membri di spicco della potente famiglia palermitana di Villagrazia. Adelfio, in particolare, è stato anche reggente della famiglia, oltre che uomo molto vicino al boss Antonino Rotolo e a Giovanni Nicchi. 

«Io lì non ci sto mai, ora l’azienda è tornata al padrone». A parlare così, nel 2017, non è un contadino che coltiva per conto di qualcuno qualche terreno. Anche se gli scenari, tra i paesaggi mozzafiato delle Madonie, si presterebbero a questa visione. Dietro quella frase, intercettata dagli inquirenti, ci sarebbe invece un sistema criminale ben collaudato attraverso cui Cosa nostra, per mezzo di alcuni prestanome, avrebbe controllato alcuni terreni madoniti, ricevendo finanziamenti comunitari per gestire le imprese agricole riconducibili a esponenti dell’organizzazione criminale. Il modus operandi è semplice: c’è un beneficiario fittizio che ottiene i contributi erogati da Agea che, una volta ottenuti, finiscono nelle tasche dei veri padroni nascosti dietro a quei terreni. Proprio quei fratelli Virga, Domenico e Rodolfo. È un sistema ben collaudato nel tempo, quello appena scoperto. Costituendo, a volte anche in pochissimi giorni, ditte e società da intestare a quegli insospettabili che avrebbero dovuto presentare domande e documenti per ottenere i contributi.

Già nel 2013 infatti Giuseppe Fascetto Sivillo, ritenuto il finto beneficiario dietro ai Virga, diventa titolare di aziende agricole, acquisendo la formale disponibilità di quei terreni non suoi. Ma perché mettere uno come lui? Perché nel suo curriculum non vanta reati di mafia. «In queste pratiche mafiosi non ce n’è», dice infatti Rodolfo Virga intercettato, rivelando di temere solo fino a un certo punto lo stop delle domande con importi superiori ai cinquemila euro per via dei certificati antimafia. Gangi, Geraci Siculo, Blufi: è qui che centinaia di ettari di terreno passavano dal patrimonio madonita direttamente a quello di Cosa nostra. Anche a costo di mettere in mezzo i propri figli. Tra le persone coinvolte nel blitz di ieri infatti ci sono anche il 26enne Ettore (figlio di Rodolfo Virga ) e la cugina appena 21enne Agostina (figlia di Domenico Virga), entrambi estranei alla realtà agricola, dato che lui lavora in realtà in Olanda e lei frequenta un corso Iap (imprenditore agricolo professionale) per volere del padre. 

Ma la fame di terreni si fa sempre più grande e spasmodica, tanto da toccare ben quattro province. E palesando, in casi definiti dagli stessi inquirenti «paradossali», una «certa considerazione di impunità: la parte agricola della Sicilia è molto vasta, magari non pensavano che individuassimo proprio quella particella e la normativa è anche complicata, quindi giocavano un po’ su questo discorso. E poi c’è l’avidità, il volerci guadagnare sempre di più da questo illegittimo possedimento di terreni». Quella particella a cui fa riferimento il tenente colonnello Eugenio Bua, comandante del nucleo Pef di Caltanissetta, fa capo a un appezzamento di terreno espropriato dalla Regione nell’84 e, quindi, di fatto di proprietà dello Stato, frazionato e rivenduto a enti pubblici. Una vera e propria truffa, in barba al rischio di mettere le mani su un bene delle istituzioni. È di oltre 221 milioni di lire l’indennità che i fratelli D’Anna, originari di Castelbuono, ricevono all’epoca  per cedere quei terreni in contrada Quacella, a Polizzi Generosa. Otto in tutto le particelle di quel terreno che risultano oggi acquisite in maniera anomala.

«Non potevano essere in alcun modo oggetto di compravendita con Ismea – si legge nelle carte dell’inchiesta -, perché appunto di proprietà del Demanio». Eppure, per la vendita di quelle particelle i fratelli D’anna avrebbero intascato una somma pari a 440mila euro. Peccato che non fossero più nelle loro disponibilità. Quegli stessi terreni sono passati, infine, tramite l’Ismea ai Di Dio, famiglia messinese usata, per gli inquirenti, dai Virga come prestanome, e che versava parte dei contributi ottenuti ai mandamenti locali. È il 2015 quando quei beni dello Stato passano nelle loro mani grazie a contratti di locazione in virtù dei quali avrebbero chiesto i relativi contributi Agea attraverso le omonime imprese agricole individuali.


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