Il capo della Dia Panvino saluta Catania. Andrà a Nuoro  «Mi porto calore della città. Mafia? Ha l’abito elegante»

Dolore, umiltà e la voglia d’imparare ancora intatta. Sono i tre ingredienti che mette sul tavolo Renato Panvino al termine dei cinque anni passati da capo centro della Direzione investigativa antimafia di Catania. Il suo prossimo incarico lo porterà in un’altra Isola. Come vicario del questore di Nuoro Massimo Alberto Colucci. Nel suo libro dei ricordi, a poche ore dall’appuntamento con l’aereo diretto in Sardegna, ci sono le tante operazioni antimafia portate a termine, ma anche la cattura di alcuni pericolosi latitanti come Mario Pappalardo e Paolo Balsamo. La cartina della sua esperienza ai piedi dell’Etna arriva però dall’operazione Gorgoni su mafia e rifiuti. Scattata a novembre 2017 e calibrata sulle infiltrazioni dei clan nei Comuni di Trecastagni, Misterbianco e Aci Catena. «C’è stato un passaggio dell’inchiesta che non dimenticherò – racconta Panvino a MeridioNews – La giudice delle indagini preliminari descrisse come desolante il fatto che siano stati gli amministratori a rivolgersi alla mafia e non viceversa». 

Cosa porta nella valigia Renato Panvino?
«Dal punto di vista dei sentimenti mi rimane il calore dei cittadini di Catania, ma anche la voglia di riscatto di tutta la Sicilia orientale. Ritengo che oggi andare via sia un momento di grande dolore. Qui ho avuto tante soddisfazioni ma ho anche perso mio padre. Dieci mesi fa a causa di una grave patologia cardiaca. Sotto l’aspetto professionale ritengo che dirigere uno dei Centri più importanti d’Italia, in una zona di frontiera, significa fare accrescere le proprie competenze e per questo devo ringraziare voi giornalisti che siete i compagni di viaggio più preziosi nella lotta alla mafia».

Lavorare a Catania significa essere stati in una frontiera

In questi anni di lavoro abbiamo capito che c’è ancora un pezzo di politica che non riesce a fare a meno di Cosa nostra.
«Io credo che sia anche una questione di mentalità. Dall’altra parte però sono confortato dai tanti giovani che puntano sulla meritocrazia sbracciandosi a lavoro. Insieme a tanti professionisti che vogliono dare il massimo. Questi elementi mi portano a pensare che Catania è una città in evoluzione e che potrà eliminare le scorie negative. Non bisogna però fare l’errore grave di sedersi sugli allori e considerate la mafia come un qualcosa che fa parte del passato. Come dice il procuratore Carmelo Zuccaro la lotta alle cosche passa per l’aspetto militare e per quello dei colletti bianchi, su quest’ultimi però c’è ancora tanto da fare nonostante la strada del modello Catania sia quella giusta».

Nel 2015, durante un’intervista a MeridioNews, aveva ancora freschi i ricordi del lavoro in Calabria. Che differenze ha trovato rispetto a quell’esperienza?
«Ritengo che la mafia calabrese sia molto presente sul territorio, soffocando molte iniziative imprenditoriali. Qui Cosa nostra ha già indossato l’abito blu ritrovandosi in tutti gli affari che portano soldi. Io comunque ritengo che la lotta con i boss sia quasi ad armi pari».

C’è una cartolina, singola, che può riassumere il suo lavoro?
«L’immagine può essere quella dei poteri forti, tracotanti, che sotto intercettazione dicevano di volere farse saltare la testa agli investigatori. Dall’altro lato un passaggio dell’operazione Gorgoni in cui la giudice per le indagini preliminari scriveva che è desolante il fatto che siano gli amministratori a rivolgersi alla mafia e non viceversa».

Nelle ultime settimane diversi esponenti delle forze dell’ordine sono finiti in carcere per collusioni con la mafia. Non c’è il rischio che il lavoro agli occhi dell’opinione pubblica venga svilito da questi episodi?
«Se alcuni appartenenti delle forze di polizia vengono assicurati alla giustizia questo significa che lo zoccolo duro della legalità è più forte di qualche scoria fisiologica di un sistema. Ritengono che, essendoci questa grande consapevolezza alla lotta alla mafia, sia chiaro che fa male quando qualche appartenente alle forze dell’ordine rimane coinvolto in inchieste. Ma con questi risultati società civile e cittadini che amano la libertà e la democrazia devono proseguire diritti sulla loro strada. Credo che la vera antimafia sia fatta da queste persone e non quella di cartone costruita per fare carriere per essere paladini di se stessi e non dell’antimafia o della legalità».

Cosa andrà a fare adesso?
«Il mio lavoro diventerà l’aiuto di campo dell’attività di pubblica sicurezza. Io vado a Nuoro con l’umiltà di imparare il mestiere del questore e l’amministrazione mi ha dato questo opportunità che io ho subito accettato. Sono abituato a essere un soldato che serve il Paese in ogni territorio. Sono molto emozionato, avrò tanto da imparare dal nuovo questore che è una persona autorevole».


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