Padre e figlia, vittime di minacce e violenze che hanno denunciato, durante l'udienza preliminare di ieri hanno chiesto di costituirsi parte civile insieme all'Asaec, associazione antiestorsione catanese. Tra gli imputati anche Francesco Santapaola, detto Coluccio
«Il bar è della famiglia. Comportati bene o t’astruppiamu» Sei estortori a processo, pure il cugino di Nitto Santapaola
«Ricordati che questo bar è della famiglia. Tu parli assai. Ti devi mettere a posto. Tu ti devi comportare bene, altrimenti t’astruppiamu (ti facciamo del male, ndr)». È il pomeriggio del 6 giugno del 2014, quando queste parole vengono rivolte ad Angelo Salice e a sua figlia Lucia all’interno del bar che hanno appena acquistato. A distanza di più di sette anni, ieri c’è stata l’udienza preliminare del processo per estorsione aggravata dal metodo mafioso in cui alla sbarra sono in sei: il 39enne Nicolò Andrea Corallo già detenuto per altra causa nella casa circondariale di Siracusa; il 58enne Giovanni Fraschilla; il 49enne Cesare Marletta; i gemelli classe 1963 Angelo e Vincenzo Carmelo Pistorio e Francesco Santapaola (detto Coluccio), che è il cugino del più noto Nitto. Il 42enne ha seguito l’udienza collegato in videoconferenza dal carcere di Spoleto dove è detenuto. Figlio di Salvatore (detto Turi Coluccio), è stato arrestato nell’operazione Kronos in quanto ritenuto il reggente della famiglia di Cosa nostra etnea.
Durante l’udienza di ieri, davanti alla giudice Giuseppina Montuori, le parti offese hanno avanzato la richiesta di costituirsi parti civili così come l’Asaec, l’associazione antiestorsione catanese che li ha accompagnati nel percorso verso la denuncia degli estorsori. Tutto comincia la mattina del 6 giugno del 2014 quando Marletta e Corallo chiamano Angelo Salice: «Non ti stai comportando bene. Ci devi fare un regalo», gli intimano al telefono facendo riferimento, secondo l’accusa, all’acquisto del bar Nuovo caffè per cui sarebbe stato costretto a «mettersi a posto» e a pagare degli assegni postdatati e senza beneficiario (15 assegni da 3000 euro e due da 2500 euro, per un totale di 50mila euro) a Vincenzo Carmelo Pistorio che, per di più, non avrebbe nemmeno rispettato i presunti accordi della compravendita portando via dall’attività macchinari, arredi e attrezzature da utilizzare in un altro bar. È l’ora di pranzo di quello stesso 6 giugno quando Marletta, Corallo e Fraschilla entrano nel laboratorio dell’esercizio commerciale di corso Indipendenza minacciando, secondo quanto messo nero su bianco nella denuncia, di appropriarsi dell’attività strattonano Salice fino a farlo cadere a terra.
Nel pomeriggio, intorno alle 18, nel bar sarebbero tornati i due gemelli Pistorio per riscuotere le somme di cui Salice sarebbe stato debitore per acquisire la gestione dell’attività imprenditoriale. Nonostante i fermi inviti di Lucia Salice a lasciare il locale, i due si rifiutano e restano. «Dov’è quel cornuto e sbirro di tuo padre? Esci fuori che noi siamo venuti a prendere il bar». La donna, in stato di gravidanza, resta all’interno della sua attività ed è per questo che spiega di essere stata picchiata con schiaffi e percosse. Ad aspettare fuori dal locale ci sarebbero stati anche Marletta e Fraschilla. Dieci giorni dopo, quest’ultimo insieme a Santapaola convocano Angelo Salice in un locale in via delle Medaglie d’Oro. «Ti sei comportato male, il bar è della famiglia», avrebbe ribadito Fraschilla con l’eco di Santapaola che, secondo l’accusa, avrebbe fatto intendere di essere intervenuto nel suo ruolo di esponente di vertice della famiglia mafiosa.