Non più vittime e nemmeno semplici collusi per vantaggio personale. E' questa la descrizione che i magistrati fanno dei due imprenditori del Catanese imputati Santo Massimino e Franco Pesce. Così legati, secondo i pm, al presunto rappresentate provinciale di Cosa nostra etnea Vincenzo Aiello da non fermarsi al pagamento della messa a posto o alla collaborazione in affari. Ma disponibili a prendere appuntamenti per conto e sotto le direttive di Aiello e a procurare loro stessi gli appalti
Iblis, requisitoria per Massimino e Pesce «Procuravano i lavori per la mafia etnea»
Una volta era definita area grigia. Il settore di intersezione – in un limbo tra vittime e collusi – dove politica, mafia e imprenditoria collaboravano. Pur restando distinti. Ma l’immagine dipinta ieri in aula dai magistrati durante la requisitoria del processo Iblis tende sempre più al nero nella ricostruzione del pubblico ministero Antonino Fanara dedicata alla figure di due imprenditori etnei: Santo Massimino e Francesco, per tutti Franco, Pesce.
Santo Massimino, ex presidente dell’Acireale Calcio, con la sua Nica Group si interessava del noleggio di gru per l’edilizia. Tra i suoi lavori figurano i centri commerciali Sicilia Outlet e Katanè, e il parco eolico dell’Ennese in cui era coinvolto anche Vito Nicastri, imprenditore ritenuto vicino al boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro. «La prima volta che lo vediamo è in un filmato al bar della stazione di servizio di Sferro – racconta Fanara – Arriva con la sua Jaguar, resta un po’ in macchina e poi e va a parlare con il gestore Antonino Bergamo (condannato per associazione mafiosa con rito abbreviato, ndr). Dopo viene inquadrato per tre minuti mentre parla con Vincenzo Aiello (co-imputato e presunto capo provinciale di Cosa nostra etnea, ndr)».
Solo l’inizio di una serie di telefonate e incontri documentati, spiega il magistrato, e cercati anche dallo stesso imputato. «I lavori li prendiamo noi insieme a Massimino. Lui alza i pali, le cose perché ve lo sta portando lui», spiega Aiello in una intercettazione. Un ruolo attivo nella ricerca dei lavori per Cosa nostra che sarebbe passato anche per la presentazione di Aiello a Nicastri. Tra l’aiuto che avrebbe ottenuto da altri esponenti dei Santapaola per la risoluzione di faccende personali e le telefonate dal tono confidenziale con Vincenzo Ercolano (figlio del boss Pippo, ndr), Massimino viene infine definito «un imprenditore di tipo privilegiato» da Alfio Giuseppe Castro, imprenditore acese condannato per mafia e diventato collaboratore di giustizia.
Diversa la posizione di Franco Pesce, imprenditore che ha ammesso in aula la sua amicizia con Vincenzo Aiello, motivo secondo la difesa dei continui contatti e passaggio di denaro dall’uno all’altro. Ma non per i magistrati. Assolto da passate accuse di associazione mafiosa,
«il suo nome viene fuori dai colloqui in carcere di Aiello che parla dell’impegno di Pesce di sostenere lui e i suoi familiari con una somma mensile di circa mille euro», spiega Fanara. Un presunto aiuto che però ogni tanto tardava di qualche mese ad essere elargito. «Gliel’ho detto. Che devo fare? Gli do un colpo di legno in testa?», si sente risponde nelle registrazioni Alfio Aiello alle domande del fratello sempre più arrabbiato.
Soci occulti insieme in alcune imprese, secondo i magistrati, Pesce si sarebbe anche occupato di organizzare incontri e di vedere alcune persone per conto di Aiello, riportando poi l’esito degli appuntamenti. Come i contatti con Giuseppe Motta per il gruppo Sma-Auchan. Un modo lecito per far lavorare l’amico Biagio Giuffrida, proprietario di un deposito che si interessava anche di distribuzione, racconta l’imputato. «Solo che in una telefonata di Pesce a Motta si sente in sottofondo la voce di Aiello che gli suggerisce cosa dire», fa notare Fanara.