Due famiglie mafiose, un confine inesistente tra imprenditori e interni all’organizzazione criminale, un sindaco compiacente per tramite del suo assessore. E’ la ricostruzione dei magistrati di quanto successo prima del 2009 a Palagonia e, in generale, nella zona del Calatino. Eventi indagati nel corso del processo Iblis, in cui continua la requisitoria dell’accusa. «Responsabile del Calatino era Vincenzo Aiello, con braccio operativo per Ramacca e per tutta la zona in Pasquale Oliva che, accompagnato da Rosario Di Dio, raccoglie l’eredità di Pietro Iudicelli. Un rapporto stretto quello tra Oliva e Di Dio anche per il matrimonio celebrato tra i due figli», spiega il pm Agata Santonocito. Attorno a loro, per quanto riguardava gli appalti nel Comune palagonese, gli imputati Giovanni Buscemi e Massimo Oliva e l’ex sindaco – ed ex deputato regionale – Fausto Fagone.
La gerarchia mafiosa della zona, come delineata dalla sentenza del processo Orsa Maggiore, vede nella provincia etnea due famiglie: quella legata a Cosa nostra catanese e creata da Calogero Conti a partire dal 1950 a Ramacca – e fino a quando lo stesso, a causa dell’età, non decise di abdicare a Pietro Iudicelli che, non all’altezza del compito, portò il clan al declino – e la famiglia che prende il nome dal suo capo Francesco La Rocca dagli anni ’80, fondata a San Michele di Ganzaria e con stretti rapporti con Catania, Enna, Agrigento.
In questo sistema si muovevano, secondo i magistrati, gli imputati Giovanni Buscemi e Massimo Oliva. Sempre nominati insieme, a coppia, durante il processo. Prima vicini all’ex reggente etneo Umberto Di Fazio e poi, al momento della sua emarginazione da parte dell’organizzazione, attirati nell’orbita dei Mirabile. «Dei mafiosi imprenditori, uniti a livello lavorativo, criminale e personale – continua il magistrato – In quanto imprenditori, il loro ruolo era quello di fare da trait d’union tra la famiglia mafiosa e le imprese nella consegna del denaro». Ma non solo. «Quelli che facevano i lavori per conto nostro», racconta il collaboratore di giustizia Giuseppe Mirabile. Come se i sub-appalti presi dai due – ad esempio i lavori per il metanodotto e le vie di fuga di Palagonia – fossero una parte integrante del pizzo imposto alle imprese che si aggiudicavano i lavori pubblici.
Un sistema possibile, spiegano i magistrati, grazie all’aiuto della politica. Dell’ex sindaco Salvino Fagone prima – «che non aveva problemi a intrattenere contatti confidenziali con appartenenti a Cosa nostra» – e del figlio Fausto, anche lui primo cittadino, dopo. Come Franco Costanzo – condannato a 20 anni per associazione mafiosa con il rito abbreviato -, solo una conoscenza di paese secondo la deposizione di Fagone jr, «colui che lo ha portato (sostenuto con i voti e in campagna elettorale, ndr) alle elezioni – risponde invece il magistrato citando le intercettazioni – Non per comunione di ideali ma perché Fausto Fagone era colui che gestiva tutti gli appalti». Oppure come Rosario Di Dio, non un «rapporto sporadico» come descritto dall’ex primo cittadino, ma un rapporto di confidenza tale, secondo i pm, che gli incontri e i saluti con i bacio sulla guancia tra i due ripresi dalle videocamere di sorveglianza.
«Dalle intercettazioni si nota come gli associati contassero molto sull’appoggio di Fagone – continua Santonocito – Pasquale Oliva, a proposito di finanziamenti che dovevano arrivare al sindaco, commenta: “Allora tanto vale che li fanno arrivare a noi”». E fin qui i magistrati ricostruiscono i rapporti, le speranze e i progetti dal punto di vista della mafia. Ma, affinché esista il reato di concorso esterno contestato a Fagone jr, in aula serve provare anche che l’ex sindaco abbia dato qualcosa in cambio alla criminalità.
Un compito che però si fa più complicato. Tra le prove dell’accusa ci sono essenzialmente la convenzione e il locale comunale affidato gratuitamente a Sara Conti, nipote di Liddu Conti, per il tramite di Rosario Di Dio e il sito Coste di Santa Febbronia affidato sempre in via gratuita ai suoceri di Alfonso Fiammetta (condannato in abbreviato), cognato di Franco Costanzo. Altri due lavori che vedevano l’interesse mafioso sono quelli per la realizzazione dei loculi del cimitero e un investimento da due milioni di euro legato a una pratica presentata in Comune da cui si doveva «fare scomparire il nome di Di Dio e parlarne prima con Fausto». Entrambi lavori però, fa notare a difesa, mai realizzati.
La difficoltà, ammettono tra le righe gli stessi magistrati, sta nel sistema che Fagone avrebbe elaborato per coprirsi le spalle: «Tenersi lontano da personaggi discutibili che avrebbero invece dovuto trattare con Antonino Sangiorgi». Ex assessore palagonese sotto la giunta di Fausto Fagone, suo amico di famiglia e condannato nel rito abbreviato di Iblis. Un piano spiegato dallo stesso Rosario Di Dio e dal geologo Giovanni Barbagallo (condannato con il rito abbreviato) in diverse intercettazioni.
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