Iblis, parla l’imprenditore parte civile Ardu «Erano mafiosi? Non dovevo capirlo io»

«Ma questa sarebbe una persona offesa?». A portare scompiglio durante l’udienza di ieri del processo Iblis – sulle presunte collusioni tra mafia, politica e imprenditoria in provincia di Catania – non sono le parole di un pentito di spessore. Né quelle di uno degli imputati di uno dei tanti filoni del procedimento. A mettere a dura prova corte, accusa e difesa – urla annesse – e pure il pubblico è stata la testimonianza di Antoine Ardu, imprenditore con un’azienda che si occupa di lavori di perforazione, nato in Francia ma residente a Castel di Iudica, parte civile nel processo contro gli imputati Vincenzo Aiello, Carmelo Finocchiaro e Antonino Bergamo. Tre suoi conoscenti, che «mai avrei pensato fossero malavitosi. Finocchiaro suonava persino in chiesa». Nonostante le richieste di messa a posto, i danneggiamenti subiti e le promesse di interessamento. «Poi lo avevo immaginato, ma era un pensiero mio e non l’ho mai comunicato nelle denunce. Toccava alle istituzioni capire chi mi aveva danneggiato, non a me, no?».

Una figura complessa quella dell’imprenditore Ardu. Che, tra tentennamenti e risposte oscure, scatena una lite in aula tra le parti. Unico dato certo, l’intercettazione effettuata dagli investigatori nel distributore Agip di Sferro, frazione di Paternò, di proprietà dell’imputato Bergamo. Luogo molto frequentato da quelli che, secondo i magistrati, sarebbero stati i vertici e gli affiliati di Cosa nostra catanese e i loro interlocutori tra imprenditori e politici. «Da Sferro ci passavo spesso e prima ci abitavo», ammette la parte civile. Lì vive la famiglia della moglie e il suocero gestisce un ristorante. Cliente fisso: Vincenzo Aiello, ritenuto il braccio destro del capo del clan etneo Vincenzo Santapaola. Impossibile non conoscere Bergamo, che a Sferro vive anche lui. E lo stesso vale per un altro imputato, Finocchiaro, imprenditore residente a Castel di Iudica: «Una volta venne nel mio ufficio per chiedermi un preventivo».

Semplici conoscenze, almeno fino all’intercettazione, nel 2007. In quel periodo Ardu aveva preso un subappalto da 150mila euro a Gravina, per i lavori in via Milanese. Presto erano cominciati gli atti vandalici. «Lo zucchero nel motore di una motopala, che mi è costata 13mila euro in riparazione – racconta – un tentato incendio a un escavatore e cose così. Ma pensavo fossero i tossici che frequentavano la zona». Quando un giorno, nel distributore, non incontra Aiello che, alla presenza di Finocchiaro e Bergamo, gli dice: «Viri ca ti stanu ciccannu a Gravina. Chi c’ha fattu?». Ardu ammette i danni, fa riferimento ai «quattro tossicomani» e dice ad Aiello: «Picchì non ti fai na passiata e ni pigghiamu ‘n cafè?». Non un vero invito a quello che allora non sa essere un uomo d’onore, sottolinea in aula l’imprenditore incalzato dai pm, ma un modo per tagliare corto con la discussione. Che però si prolunga, con Aiello che si fa più esplicito: «Non passiari cu mia, ma sburugghiu iu», aggiungendo dettagli su telecamere e carabinieri.

Eppure Antoine Ardu, che denuncia costantemente i danneggiamenti subiti, tiene per sé quello che sembra essere più di un sospetto. Soprattutto quando è Bergamo a bussare alla sua porta di casa «per chiedere la messa a posto per i lavori di Gravina, per aiutare gli amici in carcere, una cosa del genere – racconta – Voleva il due per cento perché ci conoscevamo, altrimenti era il tre». L’imprenditore si rifiuta in modo netto, arriva a minacciare di rescindere il contratto «o addirittura di arrivare a una denuncia». Bergamo, almeno nei suoi racconti, accetta il rifiuto e va via. Quando i due si rincontrano nuovamente, al bar, «teneva gli occhi bassi», racconta Ardu. «Come se si vergognasse di averle fatto un’estorsione?», chiede poco convinto il pm Antonino Fanara. «Eh, non lo so, tipo…». Per Ardu «il discorso si è chiuso lì». Nonostante i nuovi danneggiamenti subiti pochi mesi dopo. Ma poi il tempo passa, i tre vengono arrestati e l’imprenditore decide di costituirsi parte civile. «Sa che Bergamo, nel rito abbreviato, è stato assolto per l’estorsione?». «Uhm… no».

Inutile l’intervento dell’imputato Enzo Aiello: il testimone è ormai andato via e lui, complici la rabbia e la balbuzie, non può più dire nulla. Ascoltati gli altri testimoni – Pietro Guglielmino, Salvatore Tirenna, l’ex ufficiale dell’esercito Elenio ArcifaVito Roccella e Giuseppe Arena, l’autista di Aiello, sempre senza avvocato – l’udienza si conclude in fretta. Gli avvocati, tanti, sorridono per aver finito presto, almeno stavolta. «Ma questo processo sarà lungo, lunghissimo».


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Tra i sei testimoni presenti ieri all'udienza del processo sulle presunte collusioni tra mafia, politica e imprenditoria in provincia di Catania è lui la vera sorpresa: Antoine Ardu, imprenditore di Castel di Iudica, persona offesa nel procedimento. Che, tra tentennamenti e risposte oscure, ricostruisce una versione dei suoi rapporti con tre imputati che non convince nessuno. E provoca in aula urla e litigi tra le parti

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