«Simbiosi criminale», «appoggio elettorale in cambio della disponibilità incondizionata politica e amministrativa» e anche «rapporto stabile e seriale». Sono questi i passaggi fondamentali delle motivazioni della sentenza che ha portato alla condanna di Fausto Fagone a 12 anni per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito del processo Iblis. L’ex primo cittadino di Palagonia, su cui pendeva una richiesta a 17 anni (è stato assolto dal reato di concussione ndr) e che per due mandati ha ricoperto la carica di parlamentare regionale, è stato giudicato colpevole nel processo di primo grado lo scorso maggio.
Dopo sette mesi trascorsi in cella nel penitenziario di Bicocca, finite le esigenze cautelari, si era trasferito in Svizzera per «riposizionare la sua vita» lontano dalla Sicilia senza mai presenziare nell’aula bunker dove si svolgeva il processo. Era tornato da Ginevra, da precario di un’agenzia finanziaria, soltanto a distanza di quasi due anni per uno dei faccia a faccia più attesti, quello con i magistrati della Procura di Catania. Fagone, figlio di una dinastia di politici, venne eletto a palazzo dei Normanni nel 2006 e nel 2008 con oltre novemila preferenze sotto l’effige dell’Udc di Totò Cuffaro. Voti che però investigatori e giudici hanno ritenuto frutto di un accordo elettorale tra il politico e Cosa nostra. Consensi in cambio della «disponibilità incondizionata politica e amministrativa». Per lui si sarebbero mobilitati i principali esponenti mafiosi dell’area calatina della famiglia Santapaola-Ercolano compresa nell’area di Ramacca e Palagonia.
Lui è il referente di Totò Cuffaro nella Sicilia orientale
«Si ritiene assolutamente dimostrato che Fagone – scrive il collegio presieduto dal giudice Rosario Grasso – strumentalizzava le sue cariche pubbliche modulando l’attività della pubblica amministrazione in funzione del perseguimento degli interessi illeciti del clan». Lo stabile accordo, così come lo chiamano i giudici, si sarebbe basato su aggiudicazioni di lavori pubblici, riduzioni di vincoli urbanistici e anche concessioni a titolo gratuito. Tra queste quelle del sito d’interesse storico delle grotte di Santa Febbronia ai suoceri «di un affiliato storico di Palagonia, Alfonso Fiammetta», successivamente condannato in appello a nove anni e otto mesi nell’ambito di uno dei tanti tronconi dell’inchiesta.
A mettere nei guai Fagone c’è però anche una fotografia pubblicata sul sito web del Comune di Palagonia. Apparentemente una normale inaugurazione, fatta due giorni prima delle elezioni regionali dell’aprile 2008, se non fosse che nella parte destra con gli occhi coperti da scuri occhiali da sole, quasi in disparte, compaia Franco Costanzo. Ufficialmente imprenditore, in realtà secondo il Ros dei Carabinieri capomafia a Palagonia, che avrebbe accelerato i tempi per la consegna dei lavori in contrada Altarello così da favorire politicamente proprio Fagone.
A parlare dei due all’interno di una masseria di campagna, senza sapere di essere intercettati, sono anche il capo provinciale di Cosa nostra Vincenzo Aiello e il geologo Giovanni Barbagallo (entrambi condannati rispettivamente in primo grado e in appello in due filoni dell’inchiesta ndr) «Per Fausto, lui, Franco, gli ha organizzato la mangiata e così è venuto a coso, quello di Palermo, l’ex Presidente della Regione là, a Cuffaro. Gli hanno organizzato la mangiata, tutte cose». «Un personaggio». Così lo chiamava invece il sorvegliato speciale con la passione per la politica Rosario Di Dio durante un’intercettazione. «Lui è il referente di Totò Cuffaro nella Sicilia orientale». «Questi – scrivono i giudici riferendosi a Di Dio – dopo avere interrotto i suoi rapporti politici con i fratelli Angelo e Raffaele Lombardo aveva avviato un intenso rapporto con l’imputato Fagone».
Alla vigilia della sentenza sulla posizione di Fagone, su cui è scontato il ricorso in appello, si era espressa la sua difesa facendo riferimento alle ombre del padre, Salvino, deceduto lo scorso gennaio. Durante l’inchiesta antimafia Dionisio venne infatti documentato l’incontro in un casolare di San Michele di Ganzaria con il sanguinoso capomafia Francesco La Rocca: «Vi è il tentativo di riversare sul figlio quella che è la storia personale del padre».
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