Uno sguardo sullo strano mondo di chi porta a spalla per giorni le pesanti opere lignee simbolo dei mestieri popolari: tra devozione, sudore e buffi soprannomi
I segreti delle candelore? Chiedili a siccitedda
Ogni anno le celebrazioni Agatine portano migliaia di catanesi e turisti in giro per la città che, per due giorni, si riempie di fede e devozione, ma non solo. Molti dei ‘cittadini’ si avvicinano soltanto per la prima volta alla festa, altri sono più esperti e vaccinati, riuscendo a destreggiarsi con facilità tra cera, Santa e candelore.
Sono in pochi, invece, coloro che fanno parte di quel mondo a sé costituito proprio dalle candelore. Non che sia un mondo elitario o inaccessibile, ma è da sempre caratterizzato da regole e meccanismi particolari che, se non impari a conoscere fin da piccolo, sembrano quasi strane e incomprensibili.
Per una settimana, infatti, semplici lavoratori e padri di famiglia, sacrificano la propria salute trasportando per la città 11 candelore, simbolo dei tipici mestieri popolari, come pescivendoli, macellai, fruttaioli, pastai, panettieri e bettolieri.
In realtà, per tutti i portatori, la festa inizia molto prima del 3 febbraio e i motivi sono almeno due.
Da una parte tocca loro prepararsi fisicamente allo sforzo, di certo non trascurabile. Così il mese di gennaio diventa il mese delle corse e degli allenamenti in palestra, per recuperare fiato, tonificare i muscoli e, con molta probabilità, smaltire gli eccessi natalizi. Per molti, però, la preparazione non basta, pertanto si deve ricorrere agli ‘stregoni’ della candelora, veri e propri medici della mutua inventati. “Spirito canforato”,” talco mentolato”, punture di Muscoril e Voltaren, cavigliere, ginocchiere e cerotti, diventano gli assoluti protagonisti della festa. Per evitare di ‘scoppiare’ e tornarsene a casa, si fa di tutto.
Ma gennaio è soprattutto il mese del ‘candeloramercato’. Ancora una volta il paragone con il mercato di riparazione calcistico calza a pennello. Perché, mentre i vari direttori sportivi sono impegnati ad inseguire per fior di milioni di euro il ‘colpo’ di mercato, i “caporali” delle candelore sono impegnati, per poco più di un migliaio di euro, magari rimpinguato dalle entrate garantite dallo sponsor, a garantirsi le prestazioni dei portatori più valenti. Immancabili ci sono anche gli stranieri, in questo caso costituiti dai ‘paesani’. Gli abitanti di Aci Sant’ Antonio, Misterbianco e non solo, diventano così validi rinforzi e alternative.
Caso a sé è, invece, la candelora dei Rinoti. Come avviene per la squadra di calcio dell’Athletic Bilbao, in cui militano solo giocatori baschi, anche per i componenti della “chiumma” dei Rinoti si tratta solo di abitanti di San Giuseppe La Rena. Per loro la festa continua anche il 6 Febbraio, giorno in cui ritornano, candelora in spalla, nel loro quartiere alla periferia sud di Catania.
Ovviamente come ogni mondo a sé anche tra le candelore vi è un gergo particolare. Proprio quest’anno al sottoscritto la propria barba incolta è valsa l’accostamento a Giuseppe Verdi. Queste le parole di un vecchio amico di famiglia: “Pari chiddu de milli liri vecchi”.
A farla da padrone sono però i soprannomi, o “peccuri”. Alcuni legati alle pietanze e alle bevande più consumate come “mangiafavi”, “pastaccasassa”, “u pastaru” o “suchifrutta”. Altri legati a particolarità fisiche o caratteriali come “u precisu”, “coddimulu”, “manulesta”,“longu” o “u cunnutu”. Altri ancora, tratti da tipici pesci ionici come “siccitedda” o “picaredda”. Infine, quelli vari come “ticchittacchi”, “a cincu liri”, “’mpannavaneddi” o “’mpracchiapareddi”.
In tanti anni queste tradizioni e particolarità non sono state intaccate, costituendo una delle attrazioni principali di una festa religiosa ma piena di passione, sofferenze e folklore.