La relazione dapertura dellAnno Giudiziario conferma che, nel distretto di Catania, lemergenza sicurezza non ha niente a che fare con limmigrazione. I dati della Corte dAppello denunciano, invece, un aumento della criminalità minorile
I reati a Catania? Li commettono i catanesi
“I detenuti nelle carceri siciliane sono perlopiù italiani e i minori sono soprattutto catanesi, la maggior parte dei quali provenienti dai quartieri San Cristoforo, Angeli custodi, San Giorgio, Librino e Trappeto Nord. Solo 20 arresti su 199 riguardano minori stranieri”. Con queste parole Guido Marletta, presidente della Corte d’appello di Catania, ha confermato – durante la relazione di apertura dell’Anno Giudiziario 2009 – la specificità della situazione siciliana rispetto a quella delle regioni del nord. Una situazione in cui il numero dei reati imputati a extracomunitari risulta, specie a livello minorile, quasi irrilevante. Mentre la devianza giovanile, nel suo complesso, risulta in crescita rispetto agli anni precedenti.
Dall’analisi svolta dalla Corte d’Appello di Catania sull’amministrazione della Giustizia nel periodo 1 luglio 2007- 30 giugno 2008, illustrata lo scorso 31 gennaio nella cornice del Teatro Massimo Bellini, emerge infatti che il numero di arresti tra i minori (199) è aumentato nettamente rispetto ai dodici mesi precedenti (164). Gli arresti sono legati in prevalenza a reati contro il patrimonio (153), alla violazione delle leggi sugli stupefacenti (34), al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (10), alla resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Nello stesso periodo si registrano anche 574 provvedimenti sopravvenuti davanti al GUP (Giudice dell’Udienza Preliminare) per reati di omicidio (5), violenza sessuale (4), rapina (85), furto (142), rissa (16), ricettazione (69) e spaccio di stupefacenti (40). “L’aumento degli arresti – ha detto ancora Marletta – dimostra come purtroppo non vi sia in atto un contenimento delle manifestazioni criminose minorili, che sono anche preoccupanti per la loro crescente crudeltà. Basta pensare alla povera Lorena Cultraro uccisa da dei coetanei”.
Anche il rapporto tra immigrati e italiani adulti nelle carceri, in Sicilia, è diverso che nel resto d’Italia. Risulta infatti che “è stabile il numero dei procedimenti riguardanti cittadini extracomunitari, indagati per lo più per traffico di stupefacenti, risse e rapine” e che “sono stati adottati 308 decreti d’espulsione, 59 decreti di trattenimento presso CPT (centri di permanenza temporanea), 228 ordini di abbandono del territorio nazionale, 4 respingimenti alla frontiera e 42 allontanamenti di cittadini UE” da parte della Polizia di Stato. Vengono comunque segnalati dei problemi nella trattazione dei procedimenti penali nei confronti di extracomunitari a causa della difficoltà di reperire interpreti capaci di tradurre nella lingua degli imputati che – come è scritto nella relazione della Corte d’Appello– “spesso affermano, a mezzo del difensore, di parlare solo qualche particolare dialetto di qualche particolare zona del globo terrestre”.
Allarmante invece la situazione che riguarda i reati commessi, sul nostro territorio, da cittadini italiani: la Polizia di Stato ha effettuato l’arresto di 1168 soggetti e ne ha denunciati 2342 in stato di libertà; i Carabinieri hanno deferito all’Autorità giudiziaria 1047 soggetti in stato di arresto o fermo e 3047 in stato di libertà. La squadra mobile in particolare si è distinta per aver arrestato ben 26 latitanti, aver aumentato del 58% gli arresti per furto e del 32% quelli per racket.
I problemi principali della giustizia a Catania, come d’altronde nel resto d’Italia, rimangono comunque l’inadeguatezza della pianta organica nonché la scopertura complessiva del ruolo della magistratura, già superiore al 10% dell’organico, e che appare inevitabilmente destinata ad aggravarsi. Per non parlare dell’irragionevole durata dei processi sia in campo civile che penale. “Le recenti norme non servono a ridurre la durata dei processi, per cui spesso la colpa viene attribuita ai magistrati”, ha affermato il Procuratore generale Giovanni Tinebra, che ha anche sottolineato come tali norme “limitino l’importantissimo strumento delle intercettazioni telefoniche e ambientali, che hanno fornito decisivi elementi di prova”.
Di fiducia, efficienza e garanzie per i cittadini ha parlato anche Alfonso Malato, vice capo del dipartimento per gli affari di Giustizia, che però ha ribadito le linee guida del Governo soprattutto in materia di dispendio del denaro pubblico. “Ci vuole un cambio di passo per evitare gli sprechi, anche nel settore delle intercettazioni – ha detto Malato – così come vanno evitate le polemiche sui rapporti tra politica e magistratura che alla gente interessano poco. Ciò che è davvero importante per i cittadini è il funzionamento della giustizia in tempi ragionevoli”.
Da notare infine che in piazza Teatro Massimo, sabato mattina, c’era anche un gruppo di manifestanti, ragazzi della Facoltà di Giurisprudenza che protestavano con striscioni, fischietti e slogan contro la proposta di riforma per l’accesso alla professione forense. “Così facendo – ha detto Vincenzo Rosa in rappresentanza dei suoi colleghi – si andrebbe ancora una volta nella direzione di separare i ricchi dal resto della popolazione, con conseguente accesso alla professione solo per chi può permetterselo”.