Consentitemi di essere dissacrante, chiosando sulla più parte dei candidati sindaci di Palermo, verrebbe voglia di dire: Beata incoscienza!. Della maggior parte delle persone che, finora, si sono autoproposte o che sono state proposte c’è, a mio avviso, ben poco da prendere ma, ancor di più ed è questo ancor più grave, c’è ben poco da sperare. Rassegniamoci, se qualcuno di essi, per consenso di una cittadinanza non sempre attenta a come vota, dovesse riuscire vittorioso in questa competizione, sono certo che ben poco cambierà.
I tradizionali problemi della città, complicati da gestioni passate che sarebbe dir poco definire irresponsabili, si accentueranno perché le culture(?) che animano i pretendenti alla sgangherata poltrona di sindaco sono vecchie, ripetitive, insufficienti rispetto alla complessità che una metropoli moderna richiede. Palermo, lo dico con forza a quanti s’affannano a scrivere libri dei sogni (scopiazzando, peraltro, idee per colmare i tragici vuoti che li contraddistinguono), non é una città come tante altre, i suoi problemi non si possono affrontare con frasi ad effetto o professione di buona volontà, qualcuno ci ha pure provato, ma non abbiamo visto risultati evidenti. Palermo, e non mi si equivochi accusandomi di insensibilità a questi temi, non ha bisogno di immagini, non ha bisogno di salti generazionali o di quote rosa o quanto altro fa parte di un vocabolario mediocre ma di effetto. Palermo ha bisogno di qualcuno che, in realtà, forse nessuno vuole, cioè di un capace amministratore che, rendendosi conto di quella che apparirebbe una “mission impossible”, visto che il problema principale è quello dei tagli che si debbono apportare e di cui ipocritamente o irresponsabilmente non si parla, ne faccia una città finalmente “normale”. Perché la legalità, logorato refrain di chi non sa dire altro, la legalità che noi tutti cittadini vogliamo, e sfido che ci sia qualcuno che almeno di facciata dica di non volerla !, fa rima con “normalità”.
Fanno dunque specie i demagoghi di turno, con i loro cahiers doléances carichi di mediocrità su cui fanno aggio corti di furbetti “senza né arte né parte” che politicizzano o ideologizzano il bisogno, direi naturale, di sana amministrazione, dove l’aggettivo “sana” rimane purtroppo prigioniero di asfiassianti formule che portano, come ricordava Tomasi di Lampedusa, a considerare già peccato “il fare”, immaginiamoci poi il “fare bene”. Sana amministrazione significa infatti capacità di affrontare i problemi e di risolverli nell’interesse dei cittadini, ben sapendo che, spesso, le soluzioni possono anche dispiacere. È questa la vera legalità che sfugge al dilemma “mafia-antimafia” nel quale, da lunghe stagioni, ci si trastulla, o sul quale si costruiscono, come ricordava Leonardo Sciascia, le proprie carriere, come se fosse la formula magica per risolvere quel che appare, a primo acchito, irrisolvibile. Sana amministrazione significa tante cose che, ripeto a costo d’apparire antipatico e magari di farmi qualche nemico, non credo possano assicurare molti dei candidati in campo.
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