Gela, indagine su presunti danni erariali La Corte dei Conti accusa il Pd e Crocetta

L’espressione «rinviare alle calende greche» non è mai stata così adatta a spiegare ciò che è avvenuto per i bilanci del Comune di Gela sin dal 2003. Così come le kalendae esistevano solo nel calendario romano e non in quello greco, in modo tale che i latini usavano questa definizione per indicare una scadenza inesistente, così il Comune di Gela ha continuato a reiterare la «posticipazione delle spese ad un esercizio finanziario successivo». Lo si apprende dalla Corte dei Conti, che ha notificato 35 inviti a dedurre tra consiglieri, giunta comunale e dirigenti di settore. Previste inoltre sanzioni pecuniarie che vanno dal minimo di 1559 euro per l’attuale deputato del Partito democratico all’Ars Giuseppe Arancio al massimo di 11.540, 88 euro per il sindaco, renziano della prima ora, Angelo Fasulo.

Quel che emerge dalle 16 pagine di accuse, firmate dal sostituto procuratore generale Alessandro Sperandeo, è «in relazione alla gestione delle spese, un circuito organizzativo comunale connotato da inefficacia, inefficienza, inadeguata attenzione per gli interessi finanziari del Comune, e da misurazione approssimativa». I magistrati contabili hanno verificato l’elusione dei rigidi parametri del Patto di stabilità per gli anni che vanno dal 2010 al 2013. Il metodo era sempre uguale. Le spese venivano classificate come oneri straordinari della gestione corrente, più comunemente definiti debiti fuori bilancio. Né più né meno che mettere la polvere sotto il tappeto. Per un presunto danno erariale quantificato in 14 milioni di euro. «Contenziosi parecchio vetusti», si legge nel documento, già evidenziati dalla Corte sin dal 2009, con la richiesta di «dovute misure correttive» all’approvazione del rendiconto 2010. Le relazioni ispettive confermano e documentano che, nonostante le sollecitazioni, il Comune di Gela ha continuato ad accumulare debiti.

Un metodo nato nel 2003, primo anno di insediamento dell’allora sindaco di Gela ed attuale presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta. Ed è il suo nome ad aleggiare tra i corridoi istituzionali e le difese d’ufficio. Un fantasma vivo piuttosto ingombrante e, al momento, muto. Consiglieri e giunta però non ci stanno. «Che sia chiaro – si difende l’attuale primo cittadino Angelo Fasulo – non è questa l’amministrazione che ha prodotto l’eventuale danno». Vicende giudiziarie che finiscono per risolversi in scontri politici, specie all’interno del Pd siciliano. Un copione già visto. E se c’è chi, come il consigliere Giacomo Gulizzi preferisce prendersela coi tecnici e dirigenti del Comune – «Strano che fino al 2009 arrivassero pochissimi debiti e, con il nostro insediamento, ne arrivano a centinaia», dice -, molti colpiti dai provvedimenti sostengono sconsolati che dovranno pagare colpe non proprie. «Ci chiedono di pagare, quando invece abbiamo dal default l’intero ente – sostiene l’assessore Giuseppe D’Aleo, uomo Mpa – È assurdo».


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Notificate 35 richieste di deduzione a consiglieri e dirigenti. Per l’elusione del Patto di stabilità e, in generale, una gestione delle spese condotta con «inefficacia e inefficienza». Un sistema nato nel 2003, quando era sindaco l’attuale presidente della Regione Siciliana. Ma i presunti colpevoli non ci stanno: «Abbiamo evitato il default, dovrebbero premiarci», sostiene l’assessore Giuseppe D’Aleo

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