Franco Maresco, il pessimista filosciasciano  «Siamo dentro un incubo, iper-informati e al collasso»

Un’umanità disumana, un’overdose di informazioni e immagini che alimenta l’assuefazione e annienta curiosità e il senso di indignazione. Una società contemporanea «mostruosa» quella vista attraverso gli occhi di Franco Maresco, classe 1958. Il regista, direttore della fotografia e sceneggiatore palermitano guarda alla vita da antropologo e ne studia le dinamiche da sociologo, con il distacco romantico dell’intellettuale di vecchia scuola e l’arguto senso critico di chi fa di tutto ciò un mestiere. 

Parla di risvegli culturali e degli anni novanta, di Cinico Tv, Blob e Fuori Orario – cose (mai) viste. Parla di quando la rivoluzione si poteva ancora fare, definendosi un pessimista filosciasciano mentre racconta. «Quando ero giovane si pensava che la rivoluzione fosse possibile. Poi con gli anni ’80 nacque l’individualismo da yuppie poi via via il tracollo con la digitalizzazione. Oggi ti trovi davanti a gente che non ha nemmeno più uno sguardo umano, nessuno ti guarda più negli occhi. Tutti pensano a controllare cosa succede dall’altro lato del mondo, ignorando quello che accade alle loro vite – dice -. Nella storia del mondo ci sono sempre stati conflitti tra i giovani e i vecchi, ma si dialogava, si litigava, ci si opponeva. Oggi no. Un settantenne non ha come superare la frattura, è impossibile dialogare con i giovani. Viviamo dentro un’infelicità che è destinata solo a crescere. Ma questi discorsi nascono dal mio rifiuto nell’accettare che l’uomo possa perdere la sua umanità».

Lo scorso 23 maggio, anniversario della strage di Capaci, Franco Maresco ha voluto ‘regalare’ ai palermitani una proiezione serale al cinema De Seta del film Belluscone, una storia siciliana. «L’idea era quella di fornire un’alternativa alla routine commemorativa, che trovo sia arrivata alla consunzione. Ho voluto partecipare al ricordo di una strage stimolando alla riflessione critica attraverso un film che tocca le corde fondamentali delle stragi di mafia: dalla scalata al successo politico di Berlusconi, alla trattativa, alla società che ne è contorno – dice -. Ormai le commemorazioni e l’antimafia sono uno spettacolo messo in scena nel teatro della vita, e all’interno di questo ingranaggio, in queste occasioni, vengono chiamati bambini e ragazzi che sono in buona fede. L’antimafia è una maniera. Sottoscrivo ora come allora I professionisti dell’antimafia, articolo uscito nell’87, quando erano guai a dire certe cose». 

Ma tutto è spettacolo vuoto, secondo Franco Maresco, e niente è più sentito sulla pelle. «Un capitolo a parte meritano le emozioni e i sentimenti. Questa esplosione di informazioni, questa invadenza del privato in ogni momento toglie la tensione positiva nell’amicizia, nell’amore e nel sesso. La direzione è verso l’azzeramento di tutto. Questa presenza continua toglie il mistero e abbatte l’immaginazione, non esiste più l’attesa o l’eccezione. Non c’è più differenza tra la notizia, la vita o il sentimento». Si dice preoccupato, perché si stanno avverando le più macabre profezie orwelliane. A parer suo, tecnologia e digitalizzazione sono le cause del disastro intellettuale di questi anni. «La profezia di Orwell o quelle di fantasociologia si sono avverate. Siamo dentro un incubo. Questa overdose folle di immagini e informazioni dentro la quale galleggiamo ha prodotto in pochi anni un’assuefazione tale da renderci insensibili. Oggi c’è una ipertrofia mentale dovuta alla super veloce spettacolarizzazione di ogni cosa – dice Maresco -. Siamo iper-informati e per questo abbiamo perso la voglia di ricerca, la curiosità, il senso dell’indignazione. Pensiamo di sapere tutto, ma in realtà non sappiamo niente e l’idea di democrazia è moltiplicata dalla libertà che abbiamo di poter parlare di tutto. Nel delirio dell’onnipotenza siamo convinti di farlo anche con tensione morale, ma la verità è che siamo al collasso». 

Belluscone è lo spaccato senza filtri della società contemporanea, frivola e ottusa, figlia dell’omertà, dell’ignoranza e della sicilianità, che si è diffusa «come la famosa linea della palma di cui parla Sciascia ne Il giorno della civetta – spiega il regista -. I palermitani si sono diffusi, diffondendo anche quell’atteggiamento orgoglioso nei confronti del potere, eredità spagnola dalla quale esce fuori la consapevolezza del siciliano di essere superiore, fa parte della natura e va bene. Nel disastro totale si mantiene qua e là uno stralcio di umanità, per quanto mostruosa». 

Le parole del regista Franco Maresco suonano caustiche, le sue previsioni amare. «Le cose sono cambiate dagli anni Novanta si, ma in peggio. Forse la mia sembra una provocazione da anziano, ma quelli erano anni cupi e violenti, non avevamo idea dei giochi di potere sopra le nostre teste. Io credo che molte cose, grazie all’impegno di pochi uomini, siano venute fuori. Ma sono altrettante le cose che non si sapranno mai – conclude Maresco -. Anche la mafia è peggiorata in qualche modo, ne è cambiato il concetto di fondo. La mafia degli anni 70, per intenderci, non c’è più, si è estesa, basti pensare a Mafia Capitale. I fatti dimostrano che le trattative non sono finite e che il rapporto di potere tra politica e mafia è vivo ma in uno scenario diverso. Il potere ora è astratto, impalpabile, meno facile da individuare: è il perverso potere volatile, descritto da Pasolini, Sciascia, Orwell». 


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L'overdose di informazioni che produce assuefazione, la routine della commemorazione e l'antimafia diventata una maniera, la perdita dello sguardo umano. E ancora il rapporto perverso tra mafia e potere. Una società contemporanea «mostruosa» quella vista attraverso gli occhi del regista palermitano, che ne descrive ogni aspetto con malinconico cinismo. 

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