Chiusa a gennaio nonostante un attivo annuale di un milione di euro, era l'unica struttura dell'isola a prestare diversi servizi di chirurgia in caso di malformazioni, tumori o incidenti. Ma i pazienti dell'ospedale Vittorio Emanuele non si rassegnano e lanciano una petizione. «Qui, anziché tagliare i rami secchi, si ignorano le necessità degli utenti, costretti ad andare fuori», commenta Marcello Marchi, a capo del reparto oggi smantellato
Firme per riaprire il reparto maxillo-facciale «La Sicilia risparmierebbe tre milioni l’anno»
«Una volta c’erano una ventina di posti letto, sia a pagamento che gratuiti. Tutto andava bene perché era un reparto attivissimo. Ci ho trascorso un periodo e ho visto passare di tutto: da chi aveva avuto un incidente a bambini piccolissimi con le labbra malformate. Non è giusto che Catania debba perdere un simile reparto d’eccellenza». È amareggiato Mario Vittorio, catanese, 62 anni, da tempo in cura all’ospedale Vittorio Emanuele del capoluogo etneo per la ricostruzione della mandibola. Un percorso lungo, fatto di continui controlli, reso ancora più complicato dalla decisione dell’azienda ospedaliera di chiudere il reparto maxillo-facciale gestito da Marcello Marchi. Dottore romano da tempo a Catania, a capo dell’unico reparto in Sicilia a praticare sia chirurgia maxillo-facciale – presente anche a Palermo e Messina – sia plastica e microchirurgia ricostruttive. «Con un attivo di un milione di euro all’anno», spiega il medico. Che definisce la chiusura del reparto – giustificata da carenze di personale e da una conseguente riorganizzazione – come una «vergogna inconcepibile».
Tutto comincia a gennaio, quando il settore maxillo-facciale del Vittorio Emanuele viene chiuso. Ma i pazienti non si arrendono e ancora in queste settimane stanno portando avanti una petizione online per chiedere all’assessora regionale della Sanità Lucia Borsellino di intervenire. Al momento al professore Marchi sono stati assegnati solo due-tre posti letto al reparto di Ortopedia. Troppo poco per soddisfare la richiesta di interventi, considerata anche l’impossibilità di lunghi tempi di attesa. «Qui vengono persone che magari hanno un tumore alla testa o al collo – spiega il dottore – Se non posso operarli, li devo mandare altrove, perché non posso metterli in lista d’attesa». «Prima c’era una confusione da impazzire perché la gente veniva da tutte le province», racconta Vittorio, che spesso ha trascorso il suo tempo nella sala d’attesa del reparto. Una situazione che, tradotta, in numeri significa «più di seimila pazienti operati dal 2001 – aggiunge Marchi – Quando c’era il reparto ne operavamo circa 40 al mese, adesso non più di 12».
Un problema che ha tutto a che vedere con la salute dei cittadini ma anche con le tasche. Degli stessi pazienti e della Regione siciliana. «Il reparto maxillo-facciale è stato chiuso per mancanza di personale nel resto dell’ospedale. Personale che serviva per potenziare altri reparti, che magari sono in deficit – commenta amaro Marchi – Così, anziché tagliare i rami secchi, ignorano le necessità degli utenti e dimenticano che chi viene da noi è un’utenza povera, perché chi ha i soldi va fuori. Noi abbiamo anche numeri altissimi di bambini malformati». Operati finora «da personale specializzato e abituato nel trattare una varietà di pazienti che va dai neonati di poche settimane, delicatissimi, agli adulti». Competenze adesso smembrate in altri reparti. «Io stesso sono generale e soldato semplice al tempo stesso», sorride rassegnato Marchi.
Per chi non rientra tra i pochi posti rimasti a Catania e non può nemmeno aspettare che si liberino, resta solo l’alternativa del viaggio. A Messina, nei casi più semplici, al nord per quelli più delicati. «Ma un singolo intervento di ricostruzione della mandibola a Milano costa alla Regione siciliana 47.300 euro – spiega Marchi – Qui, con la stessa cifra, opereremmo almeno sei persone al mese. Se avessi a disposizione dai quattro ai sei posti letto, farei risparmiare alla Regione tre milioni di euro all’anno. Una cifra niente male se si considera che l’ospedale ha un deficit di 45 milioni di euro». Eppure i conti non tornano. Così come le motivazioni. «Io sono romano, sono stato nove anni negli Stati Uniti e sono tornato perché ho deciso di fare questo lavoro come fossi un missionario – conclude Marcello Marchi – Ma mi sono scontrato con il disinteresse verso le persone e i loro bisogni».