Fatto lo Statuto, bisogna fare i siciliani

Come promesso, pubblichiamo l’intervento integrale di Francesco Busalacchi, al convegno sulla salvaguardia dello Statuto nel conteso dell’Ue, andato in scena sabato scorso a Palermo, di cui vi abbiamo raccontato in questo articoloInvitiamo anche gli altri relatori ad inviarci le loro riflessioni in merito al dibattito. 

Perché la Sicilia non è una nazione? Tra le tante possibili risposte io me ne sono data sempre una, sempre la stessa: perché noi siciliani non siamo un popolo. Chi studia la storia della Sicilia in cerca dei suoi caratteri originari scopre con grande sofferenza che lo spirito siciliano, il nostro spirito, è fondamentalmente alieno da tutto ciò che è sociale e politico e che questa deficienza ha assunto nelle varie epoche caratteri catastrofici. ?Può essere di consolazione sapere che questa è la definizione che nelle sue “Considerazioni di un impolitico” Thomas Mann dà dei suoi connazionali, del popolo tedesco? Forse no. Si è mai vista una società più frammentata? (e questo è un ossimoro,una contraddizione in termini).

I proverbi, si sa,sono dei distillati, ma non sempre come si suol dire esprimono la saggezza di un popolo. Sentite questo, messinese. “Fuora da’ me basola, puru a mesola”. Vale a dire che tutto quello che succede fuori dal pavimento(a basola) di casa mia, fosse anche a mia sorella (a mesula), non mi riguarda. Una prima immediata conseguenza è il primato del particolare, una esasperata litigiosità, la ricerca maniacale del proprio interesse, il bisogno assoluto di far trionfare il proprio egoismo. Insomma la Sicilia, per dirla con Benedetto Croce, è un paradiso abitato da diavoli.

In questa sala oggi sono presenti alcuni protagonisti di una furibonda contesa ideologica scoppiata in occasione della presentazione del libro di Ignazio Coppola: ”Risorgimento e risarcimento”. Quel pomeriggio ci si divise su tutto: a chi dare la colpa, a chi attribuire i meriti, se tutto cominciò con la caduta di Siracusa, o piuttosto perché Guglielmo II morì senza lasciare figli, se, se, se …. Ognuno aveva la sua ricetta, per ogni cosa c’era una causa e una soluzione diversa. Il tutto con un accanimento, un’acredine e una determinazione … quasi che in quella libreria si giocasse una partita decisiva …. a chi e da chi la notte stessa dovesse essere incoronato re. Re di una nuova Sicilia, forte, ricca, tornata indipendente e sovrana.

E’ ovvio, se le premesse sono vere, che la Sicilia ha perduto la sua indipendenza quasi esclusivamente per suoi demeriti, così come senza suoi meriti l’aveva conquistata. La nostra storia è intrisa di lotte fratricide tra quelle che una volta si chiamavano classi e all’interno di ciascuna di esse. Si dice sempre che chi ha di più deve dare di più. La classe dominante (quella baronale) invece ha fatto sempre e soltanto i suoi interessi, cercando di avere di più del di più. E ha misurato i suoi comportamenti con il metro dei propri interessi e delle sue convenienze. Il suo concetto di giustizia ha sempre ed esclusivamente coinciso con tutto ciò che le consentiva di conservare i propri privilegi. E per questo ha fomentato rivolte, ribellioni e persino rivoluzioni, mandando avanti il popolo, salvo poi a tradirlo. Spesso gli andava bene, altre volte, andando per suonare, finì suonata.

Una volta, ad un suo re che chiedeva loro di giustificare il possesso della terra, i baroni risposero che il fatto di possederla, la terra, era prova del diritto a possederla. E’ ovvio che una classe così era destinata a scomparire, magari lentamente. E così è stato. ! E però i più fortunati tra loro epigoni vivono delle rendite che hanno ricavato dalla vendita delle loro ville e dei loro terreni ai palazzinari del sacco di Palermo. Altro che Gattopardi!. Parassiti erano e sfruttatori. Nulla di più.

L’Unità d’Italia. 

Nulla dirò sulle mistificazioni risorgimentali e sulle conseguenze che una grande menzogna ha avuto sulla storia del paese. Però un pensierino ad alta voce lo voglio fare. Se qualcuno un giorno si affacciasse da una finestra di un certo palazzo posto su un certo colle e confessasse agli italiani e al mondo che la battaglia di Calatafimi era su scherzi a parte, che il generale che guidava i borbonici era un traditore; che era stato corrotto, che finì nel carcere di Ischia per alto tradimento, che i suoi cinque figli furono inglobati con passaggio lineare nell’esercito piemontese e se poi ci spiegasse perché i borbonici che avevano sempre soffocato nel sangue ogni rivolta e ogni invasione cedettero il passo a Garibaldi che attraversò il sud come Mosè il Mar Rosso … allora, forse la verità romperebbe gli argini e come un fiume in piena invaderebbe corridoi riservati, sotterranei, cunicoli e stanze segrete e porterebbe alla luce tutti gli armadi che contengono i misteri di Portella della Ginestra, della banda Giuliano e, via via, di piazza Fontana, dell’Italicus, di piazza della Loggia, della stazione di Bologna, di Ustica; e, forse, finalmente, questa nostra Italia, questa vecchia, stanca, confusa, smarrita espressione geografica, diventerebbe una nazione pacificata, solidale e unita, unita anche quando la nazionale non vince i mondiali di calcio, e, dunque, diventerebbe quel grande paese che potrebbe essere.

Ripassiamo un po’ di storia non ufficiale, quella che ai nostri figli e a nostri nipoti non viene insegnata. Nei primi sei anni dell’unità la Sicilia fu sottoposta per ben tre volte allo stato d’assedio. La prima subito subito, nel 1862, chi sa mai qualcuno si fosse fatto qualche illusione sui perché dell’unità, e che lasciò tracce terribili. Il secondo appena un anno dopo, con l’estensione nell’isola degli effetti della legge sul brigantaggio meridionale, la famigerata legge Pica. Fu un arbitrio ministeriale e l’isola ebbe il piacere di conoscere i metodi da macellaio di un farabutto e criminale di guerra, il generale piemontese Govone, degno compare di altri miserabili come Pinelli, Cialdini e Bava Beccaris, quello dei cannoni ad alzo zero contro i manifestanti di Milano, eroica e gloriosa azione per la quale il Re Buono, Umberto I, lo insignì di una alta onorificenza ( e meno male che era BUONO!!).

Lo stato d’assedio illegale fu ratificato con legge dello Stato dopo sei mesi e furono sei mesi, scrive Mach Smith, in cui l’isola fu in balia di un assoluto e implacabile arbitrio militare. Il terzo stato di assedio fu imposto dopo l’insurrezione di Palermo nel 1866, la così detta rivolta del sette e mezzo e, nonostante l’insurrezione fosse limitata a Palermo, non parve vero di poterlo imporre a tutta la Sicilia. Il tutto corredato da lunghe parentesi di regimi di leggi eccezionali con le annesse facoltà di privare o limitare le libertà personali di quanti fossero soltanto sospettati di favorire direttamente o indirettamente il brigantaggio, fenomeno peraltro quasi del tutto estraneo alla Sicilia. E della truce repressione dei fasci siciliani ne vogliamo parlare? La statua del massacratore dei suoi corregionali troneggia ancora a Piazza Croci e sul piedistallo è incisa una sua pregevole riflessione: “La monarchia ci unisce”(manca il seguito:” La repubblica ci divide”). Che almeno togliessero questo!!

Troppo onore, comunque, quel trattamento, da parte del re galantuomo e del suo imbelle figlio, il re buono, quando sarebbero bastati onesti insegnanti elementari! Ma il tradimento più grave fu quello di fare decadere in Parlamento il disegno di legge negoziato da Crispi con Cavour come viatico per la calata di Garibaldi. Il provvedimento prevedeva la salvaguardia di una certa autonomia della Sicilia, era una sorta di mini prestatuto che fu messo in non cale col pretesto dei disordini che infiammavano l’isola. Le conseguenze dell’estensione nell’isola del regime fiscale, amministrativo e di leva piemontese furono devastanti.

Veniamo al secondo dopoguerra. Ricordiamoci che in Sicilia la seconda guerra mondiale finì il 3 settembre del 1943, con l’armistizio di Cassibile. C’era tutto il tempo per lavorare seriamente e unitariamente ad un disegno autonomistico forte e persino per esperire un nobile tentativo di riaffermare l’indipendenza. !Ci sono in Europa tanti Stati figli di guerre perse e vinte! Alcuni, cito l’Irlanda, l’Islanda, il Belgio, la Danimarca, l’Albania, la Grecia, i paesi baltici, sono in possesso di elementi costitutivi, popolazione e territorio inferiori, a volte entrambi, a quelli della Sicilia. Ma anche in quel caso ci siamo coperti di gloria fino a qui!!

Ed eccoci all’autonomia, allo Statuto della Regione Siciliana.


Prima di addentrarci credo sia utile una riflessione. Il nostro è uno statuto ottriato, octroyè, dicono i costituzionalisti doc; dato, quindi, e non votato. E’ stato calato dall’alto. Per fortuna è il frutto lucido e intelligente di un gruppo di uomini esperti, sensibili e lungimiranti. Ma, pur essendo un grande strumento di democrazia, non nasce democraticamente, come sarebbe potuto essere se suoi autori fossero stati democraticamente eletti dai siciliani o, quanto meno, se i siciliani fossero stati chiamati a ratificarlo con un referendum. Questo potrebbe avere importanza nello studio dei suoi contenuti e del suo percorso. Ma tant’è. Veniamo al merito.
Sappiamo che i suoi contenuti sono sostanzialmente un recepimento delle tesi riparazioniste di Enrico La Loggia(quello vero!), il quale nella sua “Sintesi storica della questione siciliana” dimostra in modo inoppugnabile che l’isola in meno di 100 anni di unità era stata spogliata e depredata, che era stata pretermessa in tutti i piani e le opere di crescita e sviluppo, il tutto a pro’ del nord. Permettetemi un intermezzo leggero, ma non troppo. Ricordate il film “Totò, Peppino e la malafemmina?” Quello, per capirci, del leggendario “NU vulevan savuar dove dobbiamo andare per andare dove dobbiamo andare? I nostri eroi sono appena scesi dal treno alla stazione di Milano. Siamo alla metà degli anni cinquanta del secolo scorso. Il treno dal quale erano scesi viaggiava su una rete elettrificata. Potete controllare.
Il meccanismo statutario ideato dai fondatori costruisce un rapporto razionale e osmotico tra competenze e risorse per esercitarle, in un armonico processo di bilanciamento e sviluppo. Ma il seme della dissoluzione dell’autonomia era stato già gettato da Aldisio, l’Alto Commissario per la Sicilia, il quale aveva già stabilito che in tutti gli organismi di governo a tutti i livelli dell’isola dovevano essere presenti i partiti rappresentati nel CNL. Il che significava che i partiti del nord erano anche i partiti del sud. Era stata aperta la strada all’ ascarismo.

La presa diretta tra Roma e Palermo significherà per sempre che il Governo centrale è arbitro delle priorità nazionali (il che al 90% significa gli interessi del nord), e che se, in nome di quelle priorità, devono ancora una volta essere sacrificati gli interessi siciliani, pazienza. In quella temperie(siamo nell’immediato dopoguerra!) quale segretario regionale di qualunque partito isolano avrebbe potuto opporsi alla decisioni romane senza perdere il posto? E cosi i governi regionali vedranno ridursi significativamente il proprio raggio d’azione. Ma noi ci abbiamo messo del nostro, come vedremo!!
In tanta desolazione soccorre l’ucronia, un tempo immaginario, come l’utopia è un luogo immaginario; e dunque una storia immaginaria, un storia che non c’è stata. Immaginiamo quindi una storia in cui i siciliani tutti e per transitività i loro rappresentanti avessero fatto fronte comune contro il governo centrale a difesa delle prerogative dello Statuto e della sua applicazione integrale, chiudendo ogni spazio all’ascarismo. Oso dire la parola tanto vituperata, se avessero fatto LEGA? Come sarebbe finita? Lascio a voi la risposta.
Questo non accadde, ma accadde di peggio. Nel giro di 4 anni, la prima legislatura, la Regione, lungi dall’ottenere la piena attuazione dello Statuto, se ne vide scippare i contenuti . Furono persi il diritto di imporre la registrazione con riserva alla Corte dei Conti, il diritto di emanare decreti legge, l’Alta Corte, la Corte di Cassazione, la competenza esclusiva in materia di istruzione elementare, una parte cospicua delle risorse tributarie degli art.36,37,40, i fondi dell’art.38; la potestà di autorizzare compagnie assicuratrici ad esercitare la relativa attività.

Perché? I perché sono tanti. Perché alcuni poteri furono mal esercitati, certamente. Per esempio il potere di emanare decreti d’urgenza e quello della registrazione con riserva andarono a picco perché i governi dell’epoca si ostinarono a difendere l’assunzione diretta di scagnozzi di qualche politico dell’epoca (ovviamente so i nomi ma non li dirò), oppure perché qualche assicuratore scappava in Brasile con i miliardi degli assicurati (anche di questo campione so il nome ma non lo dirò), cosa quest’ultima che fu possibile perché i controlli regionali non esistevano. Ma allora è vizio, dirà qualcuno!
Un piccolo doveroso approfondimento riguarda un articolo ormai dimenticato dello Statuto, l’art.31. Lo Stato non vi ha mai dato attuazione. L’art. 31 dello Statuto conferisce al Presidente della Regione i poteri di polizia. E’ una norma fondante dell’autonomia, ma lo Stato non si è fidato. Ha fatto bene? Non lo so. Ha fatto male? Non lo so! Le vicende evolutive della mafia, però, da libera associazione di vessatori rurali ascesa all’empireo dell’imprenditoria globale, sono sotto gli occhi di tutti e ciascuno può esprimere il suo giudizio e formulare i più arditi pensieri, specialmente in questi giorni avvelenati da uno scontro istituzionale al massimo livello.
Logicamente e strutturalmente correlata alle disposizioni dell’art 31 è la disposizione contenuta nel precedente art. 21 dello Statuto. Noi siamo abituati pensare che il Prefetto sia il massimo organo statale nella regione. !Non è cosi! E’ il Presidente della Regione. Egli, recita la disposizione contenuta nell’art. 21, rappresenta nella Regione il Governo dello Stato che può tuttavia inviare temporaneamente propri commissari per l’esplicazione di singole funzioni statali. Avete idea di che cosa significa questo? Due cose: uno: il superamento e l’abolizione delle prefetture in tutta l’isola; due: la giuridica impossibilità da parte dello Stato di aprire in Sicilia suoi uffici periferici autonomi rispetto alla Regione. Ovviamente, anche questo articolo non è mai stato applicato. Peggio. I prefetti sono diventati punti di riferimento per tutte le questioni che l’Amministrazione regionale non sa, non può o non vuole risolvere, e gli uffici periferici dello Stato prolificano e prosperano e mai, dico mai, i presidenti hanno rivendicato quel ruolo che loro compete.
Ma la vera radice della mala pianta secondo me è un’altra.
Il più antico Parlamento d’Europa(nel quale erano presenti tutte forze politiche, dai postfascisti ai comunisti), come suo primo atto, lungi dall’affermare e proclamare come sua ragion d’essere i principi etici che presiedevano all’autonomia, decise all’unanimità di equiparare il trattamento economico dei deputati regionali a quello dei senatori della Repubblica. Lo fecero come ladri nella notte, a porte chiuse, ma lo fecero. Non c’è che dire, un grande gesto di elevazione morale di fronte ad una Sicilia piagata dalla guerra, dilaniata da sanguinose lotte intestine, povera, rurale, arretrata, analfabeta.

“Un’ingiustizia nazionale è la strada più sicura verso la decadenza di una nazione”, diceva Gladstone.
E quella fu una gravissima ingiustizia di cui ogni giorno molti siciliani, direttamente e indirettamente, pagano i prezzi. Perché? Perché chi commette un’ingiustizia, e ne è consapevole, diventa debole e vulnerabile, viene assediato da richieste ingiuste e il suo scudo inevitabilmente si abbassa. ?Come è considerato chi, pur potendo eccedere, si è moderato, rispetto a chi è stato vinto dalla propria avidità? Che cosa saremmo disposti a sacrificare per il primo e che cosa non avremmo l’ardire di chiedere al secondo? ?Chi vive nell’ingiustizia e si nutre ogni giorno dei frutti avvelenati dell’ingiustizia, di quale messaggio è portatore? ?Quale autorevolezza può avere per imporre sacrifici e rinunce; quale autorevolezza può avere nelle trattative, nei negoziati; quale credibilità può avere quando si riempie la bocca con parole di cui ignora il significato: equità, dovere, giustizia sociale, legalità?
Volete una prova? Si legge nella relativa delibera del Consiglio di Presidenza dell’Assemblea regionale, che ”per ragioni di equità” (equità, notate la sublimazione del senso di colpa, del bisogno di complicità), anche il trattamento economico dei dipendenti del medesimo primo Parlamento d’Europa fu equiparato a quello dei dipendenti del Senato. E’ lecito pensare che senza quell’atto scellerato, tutto l’apparato pubblico in Sicilia sarebbe diverso? Che non ci sarebbero super stipendi, super pensioni, (e posso affermarlo perché non mi fa velo la mia condizione personale, credo di sapere chi sono), e, ancora, assunzioni senza concorso pubblico, legioni di precari, il trionfo del lassismo, del parassitismo, del riconoscimento del merito a tutti, indiscriminatamente, il godimento di una sostanziale immunità da parte del pubblico impiegato, e tante infinite piccole e grandi nefandezze?
Per esempio, chi è consapevole dei suoi ingiusti privilegi, come può negare un po’ di straordinario in più, un passaggio di qualifica per raggiungere il proprio livello di incompetenza, un’assegnazione di servizio sotto casa? Quanti privilegi non sarebbero stati non dico concessi, ma nemmeno chiesti? E’ lecito pensare che la Sicilia sarebbe migliore?
A proposito della parola privilegio consentitemi una piccola digressione. Nella Roma repubblicana il privilegium aveva un contenuto sfavorevole (La lex Clodia de exiliando Cicerone era un privilegium). Chi era privus lege( letteralmente privato di ogni diritto, e ciò accadeva in caso di condanna per delitti infamanti), poteva essere ucciso da chiunque, impunemente. Un bel privilegio! Che peccato, vero, che la parola abbia cambiato senso!! Vedo qualche sorrisetto. Sono tante le parole che nel tempo cambiano di significato. Nell’antichità si compivano sacrifici di animali, come sapete. C’era l’ecatombe, letteralmente l’uccisione di cento buoi, ma solo in casi eccezionali, e l’ovazione, l’uccisione di un ovino. La parola ecatombe ha conservato il suo antico significato, la parola ovazione no. Ma ,direbbe qualcuno, ehi ragassi sstiamo attenti, non è che sia successo perché l’ovino, stando in piedi (standing ovation appunto) e battendo gli soccoli cominciò a urlare: “si, si, macellatemi!”.

Sento dire in giro: ”Ma il risparmio sarebbe poca cosa”. Giusto, non è una questione di soldi. Sacrosanto! Non è una questione di soldi (anche se un risparmiuccio di 100 milioni di euro all’anno con il solo dimezzamento delle spese dell’Assemblea non sono bruscolini). !!Quante scuole si potrebbero rimettere in sesto, riscaldare e attrezzare!! A quanti bambini potrebbe essere garantito il tempo pieno!!
La questione è una e una sola: la politica è servizio; non è un lavoro, né una fonte di lucro. E’ impegno sociale assunto nell’interesse di altri e non di se stessi !!

Davanti a quella decisione il governo centrale non fece un plissé. Era cominciato il rapporto perverso tra Roma e Palermo che si può sintetizzare nella formula “oil for food”. Soldi in cambio di voti.
Io non sopporto quelli che cadono dal piede di pitrusinu. La politica nazionale, l’Amministrazione statale e il governo centrale possedevano e possiedono tutti i poteri politici e giuridici per intercettare l’avvio e la prosecuzione di uno scempio sistematico. Penso al Commissario dello Stato, e desidero chiarire il concetto con un esempio. Lo Statuto prevede la costituzione dei liberi consorzi in luogo delle Province. La relativa legge fu approvata negli anni cinquanta del secolo scorso senza oneri per le casse regionali, e forse per questo non è mai stata applicata. Sta lì, nei codici regionali, per gli studiosi. Lo Stato non se ne curò.

Successivamente l’Assemblea regionale approvò una legge di riorganizzazione delle province, palesemente incostituzionale ma ricca di posti per la politica e di fondi. Il Commissario dello Stato non se ne accorse(!). Risultato? Nove organi costituzionalmente illegittimi costano al contribuente centinaia di milioni ed esercitano forti poteri di interdizione amministrativa e politica. Penso alla Corte dei Conti, la quale, se, invece di fare soltanto le annuali rituali reprimende in toga e tocco avesse denunciato una sola volta alla sua Procura qualche Presidente di Regione e qualche Assessore particolarmente sbarazzini, avrebbe veramente dato una mano ai siciliani.
Ma la linea è stata sempre quella: utilizzate il denaro pubblico per clientele e assunzioni e la caccia al consenso generalizzato, e ritornate questi soldi sotto forma di voti al blocco storico dei centrodestra e dei centrosinistra nazionali che, se hanno governato per decenni lo hanno dovuto proprio a questo meccanismo distruttivo (e la sinistra ha firmato, se non tutte, posso dirlo senza tema di smentita, quasi tutte le leggi regionali, oscillando dalla posizione di complice – Lazzaro -quello che mendicava le molliche alla cena del ricco Epulone), a quella di utile idiota) .

Per concludere, un’ultima notazione. Se lo Statuto, questo Statuto e non un altro, fosse interamente attuato, se la politica regionale, se il governo regionale avessero il coraggio e la forza di portare al Parlamento nazionale quest’istanza e anche la nobiltà e l’abilità di dimettersi se trovassero davanti a sé un muro, la Sicilia sarebbe una piccola nazione. Con il suo territorio, la sua popolazione, il potere di imporre e riscuotere i tributi, il potere di fare e di abrogare le leggi, il potere di farsi obbedire, e con un apparato giurisdizionale interno, domestic. Non è forse questa l’essenza della sovranità statuale? Mancherebbe il potere di battere moneta, ma quello ormai non spetta più agli Stati, spetta all’Europa unita.

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