Ex Pozzillo: via la minerale, rimane l’amianto Denuncia di un medico: «Comune inerte»

«I tempi della burocrazia sono incompatibili con quelli della salute. L’amianto non aspetta nessuno». Giovanni Tringali lo ripete da anni. Medico naturalista e patologo fondatore dell’istituto di ricerca medica e ambientale di Acireale, nel Comune in provincia di Catania ha anche la sua residenza estiva. Proprio al condominio La Fonte, accanto allo stabilimento dell’acqua Pozzillo, ditta dichiarata fallita dal Tribunale nel 2008: un’area in disuso «con più di un ettaro di eternit a copertura dei capannoni». Lastre di amianto spaccate e bucate, pericolose per la salute ma in buona compagnia. Perché non è lo stabilimento ex Pozzillo l’unico sito contaminato di Acireale. «L’aria di tutto il Comune potrebbe avere livelli di fibra libera allarmanti», spiega il dottore. Ma, tra costi di smaltimento elevati e lungaggini burocratiche, l’amministrazione non è mai riuscita a risolvere il problema. «Abbiamo evidenziato lo stato di pericolo per la pubblica incolumità e diffidato i proprietari della ditta per quanto riguarda lo stabilimento – spiega Giuseppe Torrisi, responsabile del settore Protezione civile del Comune di Acireale – Ma parliamo con persone che non esistono», dice riferendosi al fallimento. Proprietari che da tempo fanno orecchie da mercante alla richiesta di invio delle analisi ambientali inoltrata dall’amministrazione. Così come l’azienda sanitaria Provinciale di Catania.

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«Un paio d’anni fa mi sono occupato di mappare tutti i siti contaminati ad Acireale – racconta Tringali – Ne ho trovati 28, soprattutto in campagna». Discariche a cielo aperto, dove le lastre di eternit – molto usate in passato come copertura dei tetti – vengono gettate via spezzate o macinate. Una questione prima di tutto di ignoranza. «La gente non sa quello che fa – commenta amaro il dottore – Io stesso una volta ho ripreso un muratore che stava spezzettando una lastra di eternit davanti ai miei occhi e lui mi ha preso in giro». All’ignoranza si aggiunge poi la questione economica, dovuta agli alti costi di smaltimento dell’amianto. Sono spesso gli stessi cittadini, infatti, a disfarsi di vecchie vasche o coperture a costo zero: scaricandole in strade di campagna isolate. «Queste persone non si preoccupano nemmeno dei loro figli – aggiunge Tringali – I bambini giocano a pallone in queste zone, calpestano l’eternit, lo rompono per divertimento». Un allarme che non riguarda solo chi vive accanto allo stabilimento ex Pozzillo – circa 50 famiglie – o alle altre discariche in territorio acese. Le fibre liberate dall’amianto, infatti, «possono raggiungere anche i 30 chilometri all’ora», precisa Tringali. E il rischio è elevato. Perché, se inalato, l’amianto può provocare un mestotelioma pleurico, «un tumore terribile a cui non c’è scampo ma con tempi di latenza molto lunghi, anche venti o trent’anni». Un pericolo che, solo nelle vicinanze dello stabilimento, riguarda almeno 200 famiglie.

Oggi, dei 28 siti censiti due anni fa dal dottore alcuni non esistono più. «Il Comune ha rimosso il materiale ma non li ha bonificati – spiega – Così il problema resta uguale, perché le fibre di amianto, se friabili, si insinuano nel terreno». Nei locali ex Pozzillo però nessun intervento è stato fatto. «Mi aspettavo che la Protezione civile mettesse almeno in sicurezza il sito – dice amareggiato – Bastava anche una spesa minima: passare uno strato di resina sintetica sulle lastre in eternit per evitare la liberazione delle fibre». Nell’immobilismo delle istituzioni, il dottore ha pensato di fare da sé: presentando un esposto alla Procura della Repubblica di Catania, corredato da foto delle lastre in eternit notevolmente compromesse. Ma la procura non è la prima volta che sente parlare dello stabilimento. Già a inizio anno aveva richiesto al Comune di Acireale l’invio di tutta la documentazione. Cioè molto poco.

L’amministrazione acese, infatti, aspetta da tempo una risposta: dai proprietari della ex Pozzilo ma anche dall’Azienda sanitaria provinciale di Catania. Lo scorso anno la risoluzione del problema è stata affidata a un dirigente del settore ambiente, Angelo Di Bella. «Ho chiesto più volte all’azienda, diffidandola, di inviarmi i risultati delle analisi che dicono di aver effettuato – spiega – Ma non mi è mai arrivato nulla». Stesso esito di due richieste – una lo scorso fine settembre e una a febbraio – inoltrate all’Asp di Catania affinché fosse l’ufficio a procedere con i rilevamenti. Documenti rigirati alla sede acese che, attraverso un incontro informale con Di Bella, fa sapere di avere intenzione di muoversi in tempi brevi. «Io intanto sto preparando l’avvio di un procedimento per agire in danno dei proprietari – precisa il funzionario comunale – Ma dobbiamo stare molto attenti: basta sbagliare una virgola per ritrovarci un ricorso sulle spalle e doverci accollare tutte le spese, che non spetterebbero a noi». E la messa in sicurezza proposta da Tringali? «Non ho mai ricevuto una richiesta del genere – conclude Di Bella – Noi possiamo agire solo nel momento in cui si verificano dei pericoli e, senza analisi, non si può dimostrare».


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Tetti di capannoni interamente coperti di lastre in eternit sotto il naso di almeno 50 famiglie che vivono da anni lì accanto. Nel comune di Acireale l'ex stabilimento di acque minerali è una bomba ecologica che può causare gravi danni alla salute. Tante le denunce inascoltate. Ora il dottor Giovanni Tringali presenta un esposto alla procura etnea. L'amministrazione? Aspetta l'invio delle analisi dell'aria da parte dei proprietari della ditta, ormai fallita, o un assenso dell'Asp catanese a occuparsi dei rilevamenti. «Senza le prove di un effettivo pericolo non possiamo agire» dice il responsabile del settore ambiente. E agire costa

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