Se è vero che ogni santo ha i suoi devoti, quelli del clan Toscano-Mazzaglia-Tomasello di Biancavilla – finiti indagati in carcere nell’ambito dell’operazione antimafia Ultimo atto – lo erano sicuramente di San Placido. Il patrono della cittadina in provincia di Catania che si festeggia, da oltre 310 anni, il 5 ottobre. Rituali e tradizioni che […]
Foto di Circolo San Placido Biancavilla
Il clan devoto al pizzo di San Placido: «Dobbiamo essere una famiglia, giriamo tutti e mangiamo tutti»
Se è vero che ogni santo ha i suoi devoti, quelli del clan Toscano-Mazzaglia-Tomasello di Biancavilla – finiti indagati in carcere nell’ambito dell’operazione antimafia Ultimo atto – lo erano sicuramente di San Placido. Il patrono della cittadina in provincia di Catania che si festeggia, da oltre 310 anni, il 5 ottobre. Rituali e tradizioni che si ripetono sempre uguali. Tra questi, ci sarebbe stato anche il pizzo imposto ai gestori di bancarelle, stand e giostre. Un introito in aggiunta alle rate pretese da commercianti e imprenditori locali in occasione delle festività di Pasqua e Natale e al dazio variabile chiesto ai camionisti e ai titolari di magazzini e ditte. Oltre alla droga, le estorsioni sarebbero state il vero affare del clan per riuscire a tenere sempre piena la cassa comune per garantire «gli stipendi ai detenuti e ai loro familiari», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. A occuparsi di questo business sarebbero stati, sempre sotto lo stretto controllo di Giuseppe Mancari – ritenuto a capo del clan – in modo particolare, i più giovani del gruppo Piero Licciardello, Manuel Amato e Fabrizio Distefano, insieme a Mario Venia. Anche loro tra i tredici accusati di essere parte del sodalizio che è l’articolazione territoriale della famiglia mafiosa di Cosa nostra etnea dei Santapaola-Ercolano.
L’estorsione sui panini con la carne di cavallo
Già ai primi di settembre, il clan avrebbe iniziato a prepararsi per la festa patronale. A spiegare come avrebbe funzionato il pizzo di San Placido è stato il collaboratore di giustizia Vincenzo Pellegriti. A essere presi di mira dal clan mafioso sarebbero stati i giostrai e anche i gestori di bancarelle che vendono panini imbottiti con la carne di cavallo arrostita. Le estorsioni sarebbero state applicate su entrambe le materie prime, sia pane che carne. «Chi voleva montare una bancarella – riferisce Pellegriti agli inquirenti – era costretto a comprare la carne di cavallo e i panini morbidoni per il tramite del clan mafioso». In pratica, uno del gruppo criminale sarebbe stato incaricato di andare dai titolari degli stand e imporre l’acquisto di carne e pane che poi, a sua volta, comprava da una macelleria e un panificio autorizzati. Materie prime rivendute con rincaro per realizzare il guadagno da mettere nella cassa comune da cui attingere per stipendiare i carcerati e i loro parenti. «Se qualcuno si rifiutava – aggiunge il collaboratore – veniva minacciato e poi gli danneggiavamo la bancarella anche dandole a fuoco».
Il pizzo delle giostre
Ma non c’è festa di paese senza giostre. E anche sulle attrazioni da luna park itineranti, dalla ruota panoramica al tagatà, il clan avrebbe imposto il pizzo. «Quest’anno a questi delle giostre ci mettiamo la legge nuova prima che montano: ci devono dare i soldi, almeno 2000 euro», pianificano alcuni degli indagati senza sapere di essere intercettati. Non solo soldi, dai giostrai avrebbero preteso anche «circa cento blocchetti da venti biglietti gratuiti per i figli dei detenuti. In realtà – ammette Pellegriti – poi li regalavamo a nostro piacimento». Secondo quanto raccontato dal collaboratore, a fare da collettori del pizzo sarebbero stati due giostrai stessi (madre e figlio) che avrebbero riscosso le estorsioni dagli altri titolari dei giochi e, una volta completato il giro, avrebbero consegnato tutto all’incaricato del clan.
La famiglia armata
Estorsori professionisti che non si improvvisano. E, infatti, è di lunedì 9 settembre del 2019 una conversazione in cui Amato, Licciardello e Venia discutono di come organizzarsi per iniziare a riscuotere le estorsioni in occasione delle festività del santo patrono. Ed è qui che viene fuori che a loro disposizione e pronte per essere utilizzate avrebbero avuto un fucile a canne mozze e altri armi, che ieri sono state sequestrate. A San Placido manca ancora quasi un mese, ma sono ci sono affari a cui non si può pensare all’ultimo minuto. «Ou, partiamo a rompere perché già mi si è gonfiata la minchia», esordisce Licciardello che sa che ogni buon proposito si comincia di lunedì. «Devono andare a prendere quel coso per forza, lo mettiamo dentro così lo monto – risponde Amato facendosi trovare pronto – A portata di mano ne abbiamo uno solo fucile». A questo punto, è Venia a tirare fuori il desiderio di un’arma fantasiosa: «Il tiranozzuli ci vuole che si carica a pallettoni. Solo con il fucile non si può fare niente. Dobbiamo essere pronti qualsiasi cosa». E, per prepararsi al meglio, serve anche l’unione che proverbialmente fa la forza. A ricordarlo agli altri ci pensa il più maturo del gruppo degli estortori: «Se dobbiamo essere una famiglia, dobbiamo essere una famiglia…Quando ci sta un pezzo di pane, se lo mangiano tutti. Iniziando da ora – decreta Venia – giriamo tutti e mangiamo tutti».
Il pizzo come companatico
E, in effetti, per le feste comandate di Pasqua e Natale il giro delle attività commerciali a cui estorcere denaro (in media 500 euro) sarebbe stato fatto a tappeto sul territorio di Biancavilla: bar, pasticcerie, un gommista, un ottico, un compro oro, un chiosco, un camion dei panini, un negozio di abbigliamento, una ditta di pesticidi, una libreria, un mulino, una profumeria, un negozio di tende, un magazzino di arance, un supermercato, una sala scommesse. «Qui non stiamo venendo per una tassa fissa – dice Licciardello al titolare di una ditta di lavorazione agrumicola – Un paio di cento euro per aiutare un amico in galera». Con il rischio di finirci anche loro. Una preoccupazione che nasce dal momento in cui Pellegriti comincia a collaborare. «Loro ci vogliono beccare – afferma Venia riferendosi alle forze dell’ordine – Pam (suono onomatopeico, ndr) ti bloccano e gliela suchi». Il timore è quello di essere fermati con i soldi delle estorsioni ancora addosso. Ed è da qui che nasce in Distefano un’idea geniale. «Tranne che tu ci entri e ti prendi una cosa da bere. Li devi sapere fare però le cose. Non è che devi fare come gli anni Ottanta, te li devi inventare sempre più nuove. Cambia modalità: sei in una panineria? Spacca il panino e mettili lì dentro e lo involti». Un’intuizione che, a giudicare dalle misure cautelari per tutti, non sembra avere funzionato.