Eravamo quattro amici al chiostro

La chiusura dei chiostri lo scorso luglio ha suscitato, com’è noto, reazioni di protesta da parte degli studenti, privati di uno spazio fondamentale, un centro di aggregazione, un luogo di studio e di spensierata lettura. Un luogo, perché no, anche di svago dal “puramente accademico”.

 

Abbiamo raccolto opinioni fra gli studenti, in particolare fra gli assidui frequentatori dei chiostri e, com’è immaginabile, è emerso un quadro di grave scontento.

“Questa situazione rimette in ballo un discorso più ampio: quello relativo al problema della carenza di spazi all’interno della facoltà.” dichiara Salvo Orfila, rappresentante studentesco di Lettere che, insieme ad altri studenti del collettivo e non, ha avanzato un atto di protesta.

 

Dopo aver tentato la via diplomatica col Preside e con l’Ufficio Tecnico, avendo ricevuto un rifiuto alla proposta di riaprire almeno uno dei due chiostri alternando i lavori, si è fatto ricorso ad un’altra forma di protesta: la diffusione di alcuni manifesti che sono stati affissi in bacheca e sulle porte chiuse degli stessi chiostri.

 

Con questi si lamentava soprattutto il fatto che la “questione chiostri” non fosse stata presentata e discussa in sede di  Consiglio, e il disagio che la chiusura contemporanea di entrambi i chiostri avrebbe creato. A ciò si aggiungeva una sorta di tavoletta ironica che occupava la prima parte del manifesto, in cui si raccontava di quando “C’era una volta un luogo in cui gli studenti…”

 

Il fatto che la richiesta sia stata ignorata e che, peggio, i manifesti siano stati strappati via a quanto pare sotto ordine dello stesso Preside, ha fatto scoppiare polemiche già note, di cui si è discusso sul forum di Lettere e in cui sono intervenuti studenti-testimoni e lo stesso Preside.

 

Ad ogni modo, sta di fatto che la situazione, ad oggi, rimane immutata e sulla questione della riapertura dei chiostri non c’è da farsi illusioni fino al gennaio del 2008. La conferma ci è stata data dall’Ing.re Lo Faro dell’Ufficio Tecnico il quale ha precisato che il progetto era stato presentato al Consiglio di Amministrazione e quindi approvato.

E’ evidente, dunque, che qualcosa non deve aver funzionato nel passaggio delle informazioni se fino all’approvazione del progetto nessuno dei rappresentanti degli studenti della nostra università  era stato ufficialmente informato. Tanto che la chiusura dei chiostri è giunta improvvisa e categoricamente imposta.

 

Tuttavia, responsabili e addetti ai lavori, hanno studiato la cosa in modo da non creare troppo scompiglio. E’ stato quindi modificato il progetto che inizialmente prevedeva il passaggio dei materiali attraverso le due porte antistanti l’aula studio sul ponte. Si è scelta, in seguito, una seconda, più comoda opzione ricorrendo ad una gru che permettesse il passaggio al di fuori della struttura, scartando il pericolo dell’ulteriore disagio di avere un cantiere in mezzo al corridoio.

Una soluzione di compromesso che ha scelto la via del male minore. Certo è che se tali lavori di manutenzione andavano fatti  c’è solo da stringere i denti fino al 2008. Anche se un anno e mezzo all’università, senza i chiostri, sembra davvero tanto, anzi troppo. Ma, come dire: “Stanno lavorando per noi.”

 

Non si è potuto ovviare al problema di occupare i due chiostri contemporaneamente perché, secondo quanto ci ha spiegato l’Ing.re Lo Faro, in base alle esigenze espresse dalla ditta impegnata nei lavori, si sarebbero allungati i tempi prolungando la durata dei disagi.

Di buono c’è, è ovvio, il fatto che, completati i lavori di manutenzione, “i chiostri verranno riconsegnati agli utenti in condizioni migliori, puliti e con un nuovo impianto di illuminazione.”  

dichiara  Lo Faro che aggiunge anche: “Consentitemi una battuta polemica: gli stessi studenti che protestano per i chiostri sono anche quelli non se ne curano o lo maltrattano. Speriamo che alla riapertura si adotti un atteggiamento più rispettoso di questi ambienti.”

Forse questo è vero per alcuni, o diciamo pure per molti. Ma tanti altri amano questi luoghi. E li amano perché li vivono. E li rispettano. Ma se l’amore è contagioso, il rispetto della cosa pubblica lo è un po’ meno…


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