Si è chiusa con l’archiviazione l’inchiesta sulla morte di Enrico Lombardo, il 43enne di Spadafora (nel Messinese) deceduto per strada mentre era stato immobilizzato dai carabinieri la notte tra il 26 e il 27 ottobre del 2019. Il reclamo presentato dai familiari dopo le due archiviazioni del giudice per le indagini preliminari è stato ritenuto inammissibile dal tribunale monocratico di Messina dove gli atti erano tornati dopo l’accoglimento del ricorso da parte della Cassazione. «A essere inammissibile è come lo hanno ridotto», commenta a MeridioNews Alessandra Galeani, la ex moglie di Lombardo che da quattro anni porta avanti una battaglia di giustizia e verità per ricostruire quanto accaduto quella notte sotto il balcone della ex compagna della vittima.
A finire indagati erano stati tre sanitari – una medica e due soccorritori – per omicidio colposo e un carabiniere per morte come conseguenza di altro delitto (violenza privata). A distanza di quattro anni dai fatti, è arrivata l’ennesima archiviazione. «L’ennesima ingiustizia – sottolinea Galeani – Dopo il dispositivo della quinta sezione della Cassazione, non ci aspettavamo una decisione del genere da parte del tribunale di Messina». Un punto alla vicenda di fronte al quale i familiari di Lombardo non vogliono rassegnarsi ad arrendersi. «Non ci fermiamo, andremo avanti, perché non possiamo accettare che non si voglia indagare. Guardando le lacrime di mia figlia Erika (che era anche figlia di Lombardo, ndr) divento una leonessa. Abbiamo pianto adesso esattamente come quando è morto. La nostra sensazione – aggiunge la donna – è che così ce lo hanno ucciso per la seconda volta».
E non sono soli i familiari di Lombardo, da tempo oramai affiancati nella ricerca di verità e giustizia anche dalle associazioni Amnesty International e A buon diritto. «Sosteniamo che ci siano ancora dei punti a oggi non sufficientemente considerati o rimasti irrisolti. Tra questi – spiegano dalle organizzazioni – la paternità delle tracce di sangue sul manganello, la compatibilità della ferita alla fronte con l’urto con la cabina telefonica nei pressi del luogo dove è avvenuto il fermo e l’utilizzo di acqua sulla scena del presunto crimine». Ed è proprio sulla base di questi elementi rimasti in dubbio che i parenti della vittima, assistiti dall’avvocato Pietro Pollicino, avevano presentato il ricorso. «Adesso – afferma Galeani – stiamo già lavorando per il futuro per valutare cosa si può fare a livello legale e anche come attività di sensibilizzazione per fare in modo che non si spengano i riflettori su questa vicenda».
Una storia che è stata definita «un nuovo caso Stefano Cucchi», anche dalla senatrice di Verdi-Sinistra italiana Ilaria Cucchi che è pure la sorella di Stefano, il geometra romano 31enne ucciso dai carabinieri nel 2009 mentre era sottoposto a custodia cautelare. Tutto era iniziato la sera tra il 26 e il 27 ottobre del 2019, quando Enrico Lombardo si presenta sotto casa della ex compagna, con cui dopo avere avuto due figli da poco ha chiuso la relazione. Spaventata da un atteggiamento che le sembra minaccioso, lei chiama i carabinieri. Lombardo va via ma, due ore dopo, torna e la ex chiama di nuovo le forze dell’ordine: «Sta ammazzando un carabiniere. Mandate qualcuno». A morire, alla fine, invece sarà lui. Una morte che viene ripresa da un balcone con un cellulare. Il video inizia con una colluttazione tra la vittima e i militari. Poi le manovre di contenimento dei carabinieri che durano circa venti minuti. Un tempo lunghissimo in cui, bloccato a terra da tre militari, l’uomo ripete solo: «Non mi interessa, non mi interessa».
Nel verbale si legge che Lombardo si sarebbe ferito «battendo il capo contro una cabina telefonica». Un’ipotesi che non convince i familiari. Eppure, dall’autopsia emerge che il 43enne non sarebbe deceduto a causa delle ferite ma per un arresto cardio-circolatorio avvenuto «nella fase di recupero post-stress di una prova da sforzo cardio-vascolare (di resistenza al contenimento-immobilizzazione da parte di operatori delle forze dell’ordine)». Una morte, quindi, dovuta a diverse possibili concause tra cui «un’emorragia sub-aracnoidea per la rottura di uno dei rami collaterali-terminali dell’arteria cerebrale media in un soggetto in delirio agitato/eccitato affetto da miocardiopatia ipertrofica (un’ipertensione che a Lombardo non era mai stata diagnosticata in precedenza, ndr) e assuntore cronico di cocaina». Insomma, un malore.
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