Emergenza abitativa, 1530 persone senza casa Sunia: «Recuperare edifici pubblici abbandonati»

Circa 1530 persone a Palermo dichiarano di non avere una casa, un alloggio stabile in cui vivere e fare crescere i propri figli. Una situazione drammatica denunciata dal Sunia provinciale, il sindacato unitario inquilini, rilevando come manchi una strategia complessiva sia a livello comunale che regionale. Il problema, infatti, riguarda tutta la Sicilia, e proprio dalla segreteria regionale del sindacato è arrivato il secco no alla sanatoria prevista dall’articolo 45 della finanziaria per chi ha occupato abusivamente gli alloggi popolari dopo il 2001. «È un provvedimento – denuncia il sindacato – che degrada il principio costituzionale di legalità e uguaglianza dei cittadini e che peraltro non risolve l’annoso e ormai drammatico problema dell’emergenza abitativa nella nostra regione, soprattutto nelle aree metropolitane».

Aree metropolitane che lamentano vicende che si trascinano da anni senza mai trovare una soluzione. «Una misura del genere – dice a MeridioNews Zaher Darwish, segretario provinciale del sindacato inquilini – non va bene. Nonostante risponda a un’esigenza di comprensione della crisi economico-sociale, non porta avanti quella necessaria analisi che finora è mancata». Sul banco degli imputati finiscono le «graduatorie ferme a più di dieci anni fa». A questo punto il nodo centrale riguarda proprio le misure da mettere in atto. «Occorre un confronto con tutti i sindacati – prosegue – è necessario affrontare in modo concreto il problema riconsegnando al dibattito politico il tema della casa perché per troppo tempo è rimasto assente».

«Finora ci sono stati interventi del tutto inadeguati – continua Darwish – basti pensare al provvedimento sulla morosità incolpevole: su 1800 sfratti di questo tipo, soltanto tre domande sono state accolte. Questo dà il senso dell’inadeguatezza della norma che non è riuscita neanche a tamponare la situazione». Una soluzione potrebbe puntare all’autorecupero di tutti quegli edifici pubblici, abbandonati e in degrado, come le caserme. «Vengono proposte invece idee e svendita di questo patrimonio – conclude Darwish -. Non basta portare avanti sgomberi, seppur legittimi, ma bisogna porsi il problema del dove vanno queste persone che non faranno altro che accrescere il bacino dei senza casa».

«Le persone che ci chiedono un alloggio sono 1500. In molti casi non sono senza casa, ma coabitano. C’è chi occupa un immobile e pochissimi dichiarano di vivere in alloggi impropri come può essere un’automobile – spiega l’assessora alle Attività sociali con delega agli interventi abitativi Agnese Ciulla -. Sono numeri parziali, autodichiarazioni. Quando abbiamo assegnato i beni confiscati, su dieci persone che avevano fornito questa dichiarazione almeno il 50 per cento non si trovava dove aveva detto di essere in emergenza abitativa». L’assessora delinea le politiche portate avanti dal Comune che mirano non soltanto a offrire una casa ma a cercare di avviare percorsi perché queste persone siano in grado di potersi pagare un affitto e raggiungere l’autonomia necessaria per uscire dal bisogno.

«Abbiamo messo un milione di euro per tre anni sul contributo alloggio abitativo – continua -, poi insieme a enti accreditati abbiamo avviato un percorso di orientamento all’autonomia abitativa di queste famiglie». Per Ciulla, l’assegnazione da parte del Comune dei beni confiscati e di edilizia residenziale è stata fatta rispettando le graduatorie di settore. Il Pon Metro per la parte di inclusione sociale, circa 26 milioni di euro, ruota tutto sull’abitare, sui target sociali di fragilità ed è centrato su servizi che rispondano a esigenze specifiche. Per quanto riguarda infine l’autorecupero del patrimonio pubblico, l’assessora risponde: «Non abbiamo una legge regionale che lo regolamenti, senza un conforto normativo non possiamo metterlo in atto».


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