Uno scontro tra privati e Comune di Belpasso che pone più di un tema generale: il disegno di paesi e città, tra politica e norme, e il ruolo della burocrazia. Potrebbe essere questo l’estremo riassunto dell’affaire progetto per l’eco-villaggio in località Ciappe – con negozi, strutture residenziali e centri di documentazione – proposto dall’ingegnere Enzo Victorio Bellia – argentino di nascita, ma belpassese di origine – e finito al centro di uno scontro con le amministrazioni del Comune etneo. Più d’una, dal 2008. L’ingegnere – tra denunce, possibili richieste di risarcimento danni e l’arrivo di due successivi commissari regionali – lamenta la lentezza degli uffici tecnici e il disinteresse della politica allo sviluppo del territorio. Dal canto loro, l’attuale amministrazione guidata dal sindaco Daniele Motta oppone ragioni tecniche e, nelle parole dell’assessore all’Urbanistica Moreno Pecorino, si dice «a disposizione affinché ci si possa confrontare in maniera costruttiva». Con una serenità che, finora, pare essere mancata. «Il commissario ha di fatto esautorato il Comune – commenta il primo cittadino – Quando si esprimerà, noi ne prenderemo atto e valuteremo eventuali azioni da compiere».
A trattare l’aspetto tecnico della vicenda sono invece l’ingegnere Alfio Giovanni Nicosia, direttore dei Lavori pubblici del Comune di Belpasso, e l’architetto Santo Caruso, a capo dell’ufficio che si occupa dell’edilizia privata. Tutto parte dall’accusa di fondo di Bellia: il Comune, dopo aver posto un vincolo per un successivo esproprio su alcuni terreni privati – tra cui quelli coinvolti dal progetto – di fatto non li ha mai acquisiti. E, scaduto il tempo previsto dalla legge, queste cosiddette zone bianche sono rimaste in un limbo che non permette ai proprietari di utilizzarle. «Si tratta di aree destinate ad attrezzature collettive o pubbliche – spiega Nicosia – Qualunque vincolo scaduto può sfociare in due canali: la riconferma dello stesso vincolo o una nuova destinazione dei suoli, simile a quella delle aree attigue». In questo caso agricola e, quindi, poco edificabile. «Come ho spiegato in una relazione, per me quei vincoli comunque non decadono perché hanno una qualificazione conformativa, cioè per attrezzature collettive realizzabili sia dal pubblico che dal privato – continua Nicosia – Dopo cinque anni, il potere dell’amministrazione è prescritto e rimane quello del privato, che però può sempre prevedere solo attrezzature collettive». Strade, scuole o altri edifici di pubblico utilizzo ma non abitazioni, insomma.
Un aspetto tecnico a cui si lega quello politico. «Nel 2015, io mi sono ritrovato con queste bozze progettuali che rappresentavano più un’idea che soluzioni tecniche su cui applicare le norme – commenta Caruso – Il progetto richiedeva poi di avere il Comune come partner e quindi andava affrontato anche sotto il profilo politico o, diciamo, socio-politico. Così, io ho potuto solo proporre una deliberazione del consiglio comunale che non ha avuto un epilogo preciso». In altre parole, «l’amministrazione non si è espressa». Subito dopo, secondo l’architetto comunale, a complicare il quadro sarebbe stata una modifica al progetto arrivata da parte di Bellia, con l’ampliamento degli spazi territoriali coinvolti. Al contrario di altre integrazioni documentali richieste da Nicosia e, per quanto fa sapere lo stesso ingegnere, mai pervenute. «Dagli uffici non c’è nessuna opposizione, per carità, ma un progetto deve avere tutti i crismi per essere approvato – conclude Caruso – e questo, nel tempo, ha subito integrazioni e trasformazioni che hanno complicato le cose». Un iter lungo 13 anni e ancora non concluso. Né in positivo né in negativo. «Per carità, un ritardo c’è stato – ammette Nicosia – ma va considerato che l’amministrazione ha 28mila abitanti e in Comune siamo solo 180 dipendenti». A cui ora si aggiunge il lavoro del commissario regionale, da cui anche la stessa Regione sembra attendere notizie da mesi.
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