Ferrandelli sposa la causa Udc: «Un onore» Orlando con Lentini, l’appello ai lavoratori

È il giorno dei centristi, che sfilano alla Multisala Politeama. Di mattina il deputato regionale Totò Lentini, ex Udc e leader di Sicilia Democratica, presenta la lista Alleanza per Palermo a sostegno di Leoluca Orlando. Nel pomeriggio è la volta della lista Udc a sostegno di Fabrizio Ferrandelli, affiancato dal presidente nazionale Antonio De Poli e dal vicecommissario regionale Ester Bonafede. 

Nel cinema di via Emerico Amari non c’è la folla delle grandi occasioni come ai tempi di Totò Cuffaro. In Sicilia l’Udc si è spaccata e il gruppo D’Alia, che adesso fa parte della formazione Centristi per l’Europa guidata da Pier Ferdinando Casini, è confluito nel listone Democratici e popolari con il Pd e gli alfaniani di Alternativa popolare, asse che ricalca quello del governo nazionale e che parteggia per il grande rivale Orlando. Bonafede e De Poli parlano di «rinascita» e «ricostruzione» e si affidano alle colonne storiche dei democristiani: il simbolo dello scudocrociato e i valori della casa, del lavoro e della famiglia

«L’Udc ha iniziato un percorso di rinascita – scandisce Bonafede – e quando ho iniziato a costruire la lista ho compreso che queste elezioni sarebbero diventate un laboratorio, un campo di prova per il nostro popolo della capacità di rigenerarsi, resistere e rilanciarsi. Ferrandelli è il nostro candidato ideale, giovane anagraficamente e intellettualmente. Ripartiamo dal nostro simbolo, dalla famiglia e dai servizi per le persone. Orlando lascia una città devastata dal tram, un sistema di trasporto più che obsoleto che ha lasciato cicatrici indelebili trasformando strade come via Notarbartolo in cunicoli. Forse bisognerebbe pensare più al manto stradale che ai progetti faraonici».

Di squadra «nuova» ma di simbolo «storico» parla anche De Poli, che esalta «la tradizione di valori, principi, progetti e programmi che ci contraddistingue ma con un gruppo completamente rinnovato rispetto al passato». Su D’Alia i due dirigenti preferiscono non pronunciarsi: «Siamo in democrazia», dice il presidente. «Non entro nel merito delle scelte altrui – rilancia il vicecommissario regionale -, e poi distinguo i rapporti personali dalle questioni politiche». 

Dopo aver detto ai cuffariani di «sentirsi a casa» in mezzo a loro, Ferrandelli dimostra ancora una volta di aver davvero chiuso col passato da militante di sinistra. Prima ringrazia Bonafede «per il percorso avviato per costruire un nuovo Udc». Poi ammette che «sarà un onore rappresentare alle elezioni questa lista, composta da persone che incontro nei posti di lavoro, per strada, nei mercati, nei quartieri popolari. Con tanti di voi abbiamo percorso pezzi importanti di strada. Non guardo a ciò che ci ha diviso negli anni ma alla meta che è il buon governo di Palermo. Non abbiamo mai parlato di poltrone o posizionamenti, non c’è mai stato il classico gioco delle segreterie politiche: abbiamo condiviso un programma».

Da quello stesso palco poche ore prima Orlando esordiva ricordando le scelte della sua amministrazione in materia di mobilità, autentico nervo scoperto di questa campagna elettorale. «La buona politica qualche volta accetta di prendersi gli insulti perché fa scelte non comprese e impopolari ma sa aspettare il momento in cui quelle scelte vengono condivise. Mi sono preso gli insulti di tutti quando abbiamo pedonalizzato via Maqueda, e ora guai a chi proponesse di far tornare le macchine, o quando abbiamo fatto la stessa cosa al Cassaro Alto, a piazza San Domenico, a piazza Sant’Anna, e perfino quando abbiamo inaugurato il tram: ora la città è più unita perché il tram ha rotto l’isolamento fra il centro e l’oltre circonvallazione e l’oltre Oreto». 

Poi il sindaco uscente annunciava le novità che ha in mente per la Favorita: «I palermitani non la conoscono, la considerano una strada per andare a Mondello. Il successo delle iniziative domenicali è un segnale. Noi nomineremo un sovrintendente alla Favorita perché diventi il nuovo Teatro Massimo di Palermo». E rivendicava di «aver evitato, grazie al nostro impegno, la strage di tremila licenziamenti di Almaviva, una macelleria sociale. Così come fatto con Gesip e Amia. Ovviamente difendere il lavoro che c’è non basta: per promuovere lo sviluppo di questa città occorre un sindaco stronzo, che ci mette la faccia, che sappia dire sì ma anche no». 

«Non ho mai dato un posto di lavoro a una persona, ma a ottomila sì – incalzava il Professore riferendosi proprio al salvataggio dei lavoratori di Gesip e Amia, transitati nelle nuove società Reset e Rap -. Se dai un posto di lavoro ad una persona crei un rapporto di dipendenza, con ottomila crei un rapporto di libertà. Mi auguro che si ricorderanno che se lavorano lo devono anche al mio impegno. Sono convinto che ce la faremo. E saranno cinque anni bellissimi. Dobbiamo evitare che vadano a governare questa città quelle stesse persone che ci hanno fatto vergognare di essere palermitani. Io non mi vergogno di esserlo». 

«Lavoriamo – chiosava Lentini – per far sì che chi ha fatto rinascere questa città possa proseguire nel suo impegno, per una Palermo europea che sia invidiata da tutti. Orlando non ha interessi personali e può realizzare questo progetto. Chi ha interessi personali, invece, non lo può portare avanti». E chiede al sindaco uscente «un maggiore impegno nelle periferie perché non può esistere una città di serie A e una di serie B». Saranno proprio le periferie, probabilmente, a emettere il verdetto l’11 giugno: molto dipenderà da come giudicheranno l’operato di questa amministrazione. 


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