Due gol e una grande parata, al Massimino si ride di gioia Ma solo in trasferta capiremo se è davvero un nuovo Catania

Mi è successo tre volte, questo pomeriggio. E tre volte, veramente, non sono poche. La prima è stata quando il nostro Maniero,piombando nell’area avversaria come un ospite inatteso e nient’affatto desiderato, ha colpito di testa un pallone calciato da Rosina mandandolo a infilarsi nella porta del Perugia; e trasformando in una statua di sale il portiere avversario che, senz’accorgersi di lui, si preparava ad abbrancare il pallone in uscita. La seconda è stata quando Calaiò, dopo un esuberante fraseggio sulla destra tra i nuovi rossazzurri Sciaudone e Belmonte, s’è trovato a battere la palla dal centro dell’area, perfettamente indisturbato dai difensori avversari, restandogli da svolgere il semplice compito di sfondare la rete. E la terza è stata quando il nostro nuovo portiere Gillet, su una palla diventata pericolosa per un rimbalzo infame, ha prima fermato con il corpo il tiro da un passo del perugino Nicco; ed ha poi trovato nelle sue gambe trentacinquenni l’energia per rialzarsi, intuire il tiro a botta sicura di un altro attaccante avversario, Lanzafame; e balzare come una molla su quel pallone, riuscendo inspiegabilmente a toglierlo dalla porta.

Mi dunque è successo tre volte, questo pomeriggio: mi è successo di ridere. Ma proprio ridere di gusto, senza ovviamente nel frattempo omettere di saltare in aria, distribuire e ricevere energiche benché amichevoli manate, abbracciare vicini di stadio semisconosciuti e urlare scompostamente come solo il gol, o qualcosa che vale un gol, obbliga a fare. Mi è successo di ridere e devo capire come mai. Perché la gioia di un gol, lo sappiamo, è sempre fatta di un tappo che salta. E perché stavolta quel che fermentava sotto quel tappo non era tensione, o frustrazione repressa, o rabbia – come pure ci si aspetterebbe da chi tifa per una squadra l’anno scorso retrocessa, e che stando alla classifica potrebbe rischiare di retrocedere ancora – bensì un inspiegabile sentimento di spumeggiante allegria.

È un’ebbrezza leggera e piacevole, che dura dalla scorsa gara interna contro la Pro Vercelli. Ma che oggi, vedendo il nuovo Catania giocare contro un avversario non troppo impresentabile quale è in definitiva il Perugia, è diventato più difficile contenere. È un’ebbrezza che non sempre si associa alle vittorie del Catania; che negli ultimi tempi sono state fatte assai più spesso di timore, fatica, sofferenza, lacrime, rabbia. È un’ebbrezza che vorrei capire, anche se so che non è facile. Proprio perché neanche adesso mi sento del tutto sobrio, e non so quanto valga la spiegazione che provo a darne. Anche perché si tratta di una spiegazione sostanzialmente tecnica. E perché io di tecnica del gioco del calcio – sarò sincero – ne capisco davvero poco.

Il punto è che mi è parso che, in occasione dei due gol segnati oggi, il Catania abbia messo sotto gli avversari sul piano dell’intelligenza. Sicché tanta allegria si spiegherebbe con un sentimento – poco onorevole, anche perché io non ci ho alcun merito – di superiorità verso i malaccorti avversari. Il punto è che il gol di Maniero mi è parso nascere da uno schema ben congegnato a tavolino da Marcolin, che ha sfruttato la capacità del suo attaccante di muoversi prima della palla e senza di essa, per andarla a incocciare esattamente dove sapeva che Rosina l’avrebbe fatta scendere. Il punto è che anche Calaiò ha fatto gol trovandosi a tirare senza nessuno che lo marcasse. E non per caso, ma grazie all’accorto lavoro ai fianchi di Sciaudone e Belmonte, che gli hanno aperto lo spazio in cui infilarsi. Il punto è, insomma, che il gioco di questa squadra completamente rinnovata non solo mi è piaciuto, ma mi ha addirittura fatto ripensare – in alcuni aspetti singoli e circoscritti, s’intende – al Catania allenato alcuni anni fa da Sinisa Mihajlovic (e già allora affidato, dal punto di vista tattico, proprio a Marcolin). Un Catania che era abilissimo proprio nell’aprire spazi ad attaccanti bravi a muoversi senza la palla, assai più che a farsi spazio con l’azione personale. Tant’è che – grazie all’estro e al sacrificio di gente come Martinez o come Ricchiuti – trasformò in un cannoniere sorprendentemente prolifico un giocatore come Maxi Lopez. Il quale da allora in poi – è un fatto – non si sarebbe mai ripetuto a quei livelli.

La chiudo qui, perché so che qualsiasi tifoso che sia anche un competente senza dubbio mi smentirà. E soprattutto perché non so ancora quanto potrà durare questa lieve ubriacatura. Che potrà durare qualcosa solo se questo nuovo Catania mostrerà nelle prossime settimane di avere una qualità nuova, e senza la quale tutto sarebbe vano: e cioè la capacità di giocare fuori casa senza paura di nessuno, di riuscire a vincere su qualsiasi campo. Cosa che il Catania, negli ultimi anni, ha completamente dimenticato.

Per ora, mi accontento di assaporare ancora il gusto di quelle tre risate. Perché erano tre, non dimentichiamolo. Una per ogni gol dei rossazzurri. E una terza per la gioia d’aver riscoperto che le parate del tuo portiere a volte valgono quanto un gol. E anche questo, di recente, non ci era successo spesso.


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