Una rogatoria internazionale per consentire l’interrogatorio di tre detenuti. Il giorno clou sarà dopodomani. Quando i magistrati della procura dei Crimini gravi di Tirana, con in testa probabilmente il pubblico ministero Besim Hajdarmataj, atterreranno all’aeroporto Fontanarossa, per poi raggiungere il vicino il penitenziario di Bicocca. Un viaggio che ha come obiettivo principale quello di acquisire informazioni utili alle indagini che dall’altro lato del mare Adriatico vedono alla sbarra l’ex ministro dell’Interno Saimir Tahiri. Sotto accusa, e poi agli arresti domiciliari, dopo l’arresto del cugino Moisi Habilaj: Habilaj è ritenuto dalla procura di Catania, e dagli investigatori del Gico del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza, la mente di un maxi traffico di droga e armi dall’Albania all’Italia. Affari da decine di milioni di euro per i quali si sarebbero seduti allo stesso tavolo albanesi e grossisti di Cosa nostra etnea.
L’inchiesta italiana, conclusa ufficialmente a dicembre scorso, porterà a processo 15 persone e la prima udienza è fissata per il 31 maggio. In alcune intercettazioni, svelate in esclusiva da MeridioNews, i trafficanti facevano riferimento anche alla figura del politico socialista. Un presunto legame a cui si aggiunge anche una macchina, utilizzata dalla banda per gli spostamenti e intestata a Tahiri, che lo stesso però giura di avere venduto in nero a un cugino appartenente alla famiglia Habilaj. A essere sentiti dai magistrati albanesi saranno anche Maridian Sulaj e Nazer Seiti. Quest’ultimo estradato in Italia, non senza polemiche, dopo essere stato catturato dalla polizia albanese a Valona. Il 41enne, suo malgrado, è stato protagonista di un piccolo giallo nelle scorse settimane, quando nel Paese dell’aquila bicipite si era diffusa la notizia, poi rivelatasi non veritiera, di una sua collaborazione con i magistrati della procura di Catania.
La crisi di governo che vive l’Albania dopo l’inchiesta Rosa dei venti non sembra conoscere soste. L’indagine nei confronti di Tahiri è stata preceduta dalla richiesta di arresto, poi negata dall’assemblea parlamentare. Passate 48 ore da quando le manette si sono strette attorno ai polsi del cugino Moisi Habilaj – resta latitante l’altro fratello Florian – il politico socialista ha mostrato un documento, con intestazione della procura di Catania, in cui dava conto dell’assenza di indagini a suo carico sul fronte italiano. Un foglio con molti punti difformi rispetto a quello tradizionalmente utilizzato dagli uffici giudiziari etnei. L’ultimo capitolo della vicenda risale al 12 maggio scorso, quando l’ex titolare dell’Interno è finito agli arresti domiciliari, revocati nella tarda mattinata di oggi.
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