Doping al trofeo Sant’Agata, sospesi quattro nuotatori «Sostanze nel mio sangue? Salvavita contro il cancro»

L’ombra del doping su un torneo di nuoto amatoriale e, contemporaneamente, il sospetto che i controlli non siano stati abbastanza accurati. Solo poche ore fa il Coni ha annunciato che quattro atleti, che hanno partecipato alla 16esima edizione del trofeo Sant’Agata, sono risultati positivi alle sostanze dopanti. La manifestazione sportiva si è tenuta lo scorso 31 gennaio alle piscine comunali di Nesima e lì sono arrivati i commissari della Nado, l’organismo indipendente che si occupa dei controlli sugli atleti. Dalle analisi sarebbe emerso che quattro sportivi avevano in circolo sostanze non ammesse: idroclorotiazide per Alessandro Bonanni e Simona Virlinzi, betametasone per Severina Cora Calinescu, idrossi-metossi-tamoxifene per Carla Piattelli. Tutti e quattro sono stati sospesi in via cautelare dal tribunale sportivo antidoping. «Forse, nel mio caso, anche la sospensione cautelativa poteva essere ritirata», interviene Piattelli, che dal 2013 combatte contro un tumore al seno

Il farmaco al quale Carla Piattelli – 52 anni, docente di Informatica all’istituto superiore Marconi di Catania – è stata trovata positiva è un inibitore degli estrogeni. «Un salvavita che fa parte della mia terapia – racconta l’atleta – Peraltro non è un dopante in sé. Ma si trova nell’elenco delle sostanze antidoping perché ne copre un certo tipo». Quello che viene usato dai culturisti uomini per aumentare la massa muscolare tramite l’assunzione di estrogeni, che il tamoxifene nasconde. «Ci tengo a mettere in chiaro una cosa – dice Piattelli – Il procedimento è corretto e non lo contesto». Sarebbe stato compito suo, infatti, presentarsi alla gara con un certificato medico che attestava l’assunzione del farmaco a uso terapeutico. «Ma io non lo sapevo – chiarisce – Così mi sono limitata a raccontarlo ai medici sportivi durante la visita. Loro mi hanno anche fatto i complimenti perché, viste le mie condizioni, ero comunque lì ad affrontare una competizione».

Nella piscina di Nesima ha nuotato i cento metri in stile delfino. Solo l’ultima di una serie di manifestazioni alle quali ha partecipato: «Ho corso senza capelli, per mostrare chiaramente che ero sottoposta alla chemioterapia. Il mio scopo è mostrare che anche con il cancro si può vivere una vita normale». Per lei, sportiva da sempre, «è stato fondamentale scoprire che ci sono tanti atleti cancer survivor. Lo sport è il mio modo per dire a tutti “Guardate: io vivo, corro” – aggiunge – Ci sono persone che temono di perdere la funzionalità del braccio. E invece eccomi, io nuoto». Per questo motivo al tribunale sportivo – che due giorni fa le ha notificato l’apertura del procedimento – ha risposto con tutto l’incartamento delle sue terapie. «L’ultima operazione l’ho subita a novembre 2015 – commenta – Ho mandato i certificati degli oncologi che attestano la mastectomia totale, l’asportazione dei linfonodi, la chemio e la radioterapia». L’intero percorso di una lotta che «non sai mai se l’hai vinta davvero». 

Dopo due giorni, però, nonostante tutto, le è arrivata la sospensione: «Io so che questa è la procedura e che sono in torto perché non sapevo del certificato – afferma Carla Piattelli – Ma penso anche che da parte del Coni e dei medici sportivi avrebbe dovuto esserci più informazione. Avrebbero dovuto dirmi cosa dovevo fare, invece ho trovato questa parte del regolamento solo nei meandri del sito della Fin». Anche per questo si chiede «perché accanirsi così? Nuotare in queste condizioni non è una cosa facile: provo a mandare un messaggio positivo e invece mi sento bollata». E se, chiaramente, «la legge non ammette ignoranza e io il procedimento magari me lo merito, ma anche nell’applicazione di procedure standard si potrebbe manifestare un po’ di elasticità mentale».

«Nel mio caso – replica anche Simona Virlinzi – si trattava di un farmaco per l’ipertensione, che contiene una sostanza diuretica». Anche lei lo aveva comunicato ai medici nel corso della visita, ma anche lei non aveva il certificato: «Non sapevo che fosse necessario – dice – Ma il mio medico sta provvedendo a preparare una relazione per rispondere». Per gli altri atleti, tutti tesserati alla Federazione italiana nuoto, interviene il presidente regionale Sergio Parisi: «Potrebbero essere anche sostanze prese in buona fede – spiega Parisi – Magari per un raffreddore». Dopo i rilievi della Nado, saranno le società a poter chiedere un controesame: «Faranno di certo valere le loro ragioni – continua il presidente di Fin Sicilia – Mi sembra strano che per un torneo amatoriale ci si dopi. A maggior ragione se si tratta di una gara che riguarda atleti più in là con gli anni». Questo, però, non significa che non debbano essere effettuate delle verifiche: «Chiaramente sono necessarie, aiutano a mantenere questo sport pulito. Il torneo Sant’Agata polarizza l’attenzione – conclude Sergio Parisi – Mi auguro che tutte le posizioni siano chiarite presto». Carla Piattelli, dal canto suo, non ha dubbi: «Se mai mi chiameranno per difendermi io mi toglierò la maglietta mostrando le cicatrici di cui non mi vergogno e dirò: “Io ho nuotato così, provateci voi”».


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