Donne contro, donne per

«Un pensiero a tutte le donne che andando contro, fanno qualcosa per». Era proprio questo lo scopo della serata che ha visto riunite ieri, nell’auditorium dell’ex Monastero dei Benedettini, artiste e personalità di vario genere, con qualcosa in comune: il loro “andare contro”. Contro la mafia, contro le sopraffazioni di cui spesso sono vittime le donne, o semplicemente contro un ordine sociale che qualcuno aveva scelto per loro.

Dall’inizio alla fine dell’incontro scorrono immagini, foto di donne da vari paesi del mondo e ritratte in momenti di protesta o fatica. Alcune sconosciute, come alcune ragazze della scuola “Andrea Doria”, altre più note, come Rita Borsellino, Giuliana Sgrena, Rita Atria.
S’inizia con uno dei tanti momenti musicali della serata: Matilde Politi incanta tutto l’auditorium con la sua splendida voce e capacità interpretativa; nel corso dell’incontro sono intervenute anche Laura Pirrone, Clara Salvo e Cecilia Pitino: in particolare, l’esibizione di quest’ultima artista è vissuta con intensa commozione perchè, come preannunciato al pubblico, le canzoni avrebbero rievocato nella grande ospite della serata – Piera Aiello – uno dei momenti sicuramente più importanti della sua vita, il video di addio della cognata Rita Atria.

Ma prima del momento dell’ingresso di Piera Aiello, si sono avvicendate sul palco altre “donne contro”, ciascuna con la propria esperienza. L’attrice Lucia Sardo, interprete de “I 100 passi”, ha iniziato come meglio non si poteva, ricordando il suo incontro con Felicia Bartolotta, meglio nota col cognome di Impastato (madre di Peppino). Una donna che, racconta la Sardo, «colpiva per il carisma della normalità» e che ad ogni persona che incontrava, lanciava un appello per non dimenticare: «m’agghiutari»! Aiutarla a diffondere la sua storia, per la profonda fede nell’idea che «la mafia non si combatte con le pistole, ma con la cultura».
Graziella Proto, che come tutte le vere donne coraggiose non si sente tale, parla del suo ruolo di direttrice della rivista antimafia “Casablanca”, affermando: «di solito è un ruolo che ricoprono i maschi, e forse questo è il mio modo di andare contro».
L’attrice Emanuela Pistone, fondatrice dell’Associazione “Isola Quassùd”, affascina la platea con toccanti letture al femminile provenienti da paesi lontani e Simonetta Gormaci, di Amnesty International, alleggerisce il tono dell’incontro raccontando storie di donne che sì hanno sofferto, ma hanno anche vinto. E poi c’è Rita Borsellino, che arriva all’improvviso, e senza dire una parola ma solo sorridendo strappa un forte applauso alla platea.
A presentare la serata ci pensano Grazia Pulvirenti (docente della facoltà di Lingue) e Nadia Furnari, dell’Associazione Rita Atria.

A metà serata arriva il momento più atteso: s’interrompono i flash, si spengono le telecamere, si mettono via i registratori. E’ questione di sicurezza, ci spiegano, sta infatti per entrare Piera Aiello, testimone di giustizia. Chi è Piera lo riassume prima Graziella Proto, ma sarà lei stessa a raccontarsi, a parlare di mafia, di violenza e di morte con una delicatezza che lascia tutti stupiti.
Piera Aiello e la cognata Rita Atria sono state due delle più importanti testimoni di giustizia, fondamentali in alcune inchieste di Paolo Borsellino. Alla morte del giudice palermitano, Rita sente rompersi quell’esile filo che la lega allo Stato. Additata ancora come la «figlia del boss», nonostante abbia rivelato tutti i segreti del padre e del fratello attirandosi l’odio della famiglia e della madre, sceglie di togliersi la vita a sette giorni dalla strage di via D’Amelio.

Niente è come lo si poteva immaginare: pensavamo ad un grave momento di riflessione, ad una forte commozione accompagnata forse da tristezza, e invece tutto è andato diversamente.
Questa bella e giovane donna, sostenuta sul palco dall’amica Nadia Furnari, ride e scherza, seppur con evidente emozione. Raccontano aneddoti di pericoli scampati, paure e indignazioni, ma sempre col sorriso sulle labbra, provocando a tratti una vera e propria risata.

Piera racconta le «vacanze romane» con Rita, quando sono riuscite finalmente a riappropriarsi della loro gioventù; rende vivo il ricordo di «zio Paolo», come chiama tuttora Paolo Borsellino. Ma lancia anche un’accusa: «L’organo Commissione del servizio centrale, che è quello che tratta coi collaboratori di giustizia, non funziona e non funzionerà mai. Quella che manca è la sensibilità. Tra me e Rita c’era una differenza: lei è cresciuta in una cultura mafiosa, non credeva pienamente nelle istituzioni. Io sì, ma la mia fiducia va solo a quelle persone, ai ragazzi della scorta, che da anni mettono a repentaglio la loro vita per me. In loro non vedo lo Stato, vedo la mia famiglia».
Piera racconta dei momenti di sconforto, di come può essere la vita non possedendo documenti per sei anni, della gioia che avrebbe provato nel pagare le tasse pur di sentirsi una cittadina a tutti gli effetti. Ma tutto questo lo dice sempre tenendo presente la prospettiva di una donna che si è rifatta una vita, che non rimpiange nessuna delle scelte fatte.

Come incarnando il pensiero di tutti i presenti, Rita Borsellino segna il passaggio definitivo verso un sentimento di coraggio e impegno: «Oggi le cose sono cambiate, si intravede un futuro diverso. Ci sono tante realtà sensibili: giovani, associazioni. Oggi Rita non si ucciderebbe più, perché non si sentirebbe sola».
A conclusione di questa serata decisamente al femminile, un pensiero viene rivolto anche agli uomini, andando ancora una volta contro, rovesciando il consueto ordine delle frasi fatte: «un pensiero ai grandi compagni delle grandi donne».


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