«Donare il corpo alla scienza significa lasciare tutto il sé alla collettività». Un gesto alto che si scontra in Italia e, in modo particolare in Sicilia, con un basso livello di applicazione della legge 10 del 2020 che regola le disposizioni del corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, formazione e ricerca […]
Donare il corpo alla scienza dopo la morte: come (non) funziona in Sicilia, tra nodi legali e poche scelte
«Donare il corpo alla scienza significa lasciare tutto il sé alla collettività». Un gesto alto che si scontra in Italia e, in modo particolare in Sicilia, con un basso livello di applicazione della legge 10 del 2020 che regola le disposizioni del corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, formazione e ricerca scientifica. Una norma che, nonostante un regolamento attuativo entrato in vigore nel 2023, resta densa di criticità. Alcune sono state messe in luce in un’interrogazione presentata all’Assemblea regionale siciliana dal Partito democratico e che vede come primo firmatario il deputato Giovanni Burtone. «Non dovrebbe essere un tema politicamente divisivo – commenta a MeridioNews Giuseppe Giaimo, professore ordinario di Diritto privato comparato del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo – perché non c’è nulla che possa turbare anche sensibilità di tipo diverso». Il vero problema, insomma, è una legge che lascia troppi punti irrisolti e poca libertà di scelta alle persone.
«In Italia pochi corpi vengono donati alla scienza – analizza Giaimo – e in Sicilia siamo prossimi allo zero». E, infatti, per la formazione dei futuri medici (in particolare per corsi di Anatomia e Anatomia patologica) e anche ai fini della ricerca scientifica nell’Isola si fa ricorso a preparati anatomici e cadaveri acquistati dall’estero. «C’è anche la possibilità di studiare tramite ricostruzioni virtuali in 3d con visori dotati di tecnologie avanzate ma – puntualizza il docente – un futuro medico ha bisogno di toccare con mano il corpo». Una necessità a cui dovrebbe andare incontro, appunto, la legge 10 del 2020 che prevede una dichiarazione anticipata di volontà, redatta secondo le stesse modalità delle disposizioni anticipate di trattamento (il cosiddetto testamento biologico). Un atto pubblico o una scrittura privata autenticata da un notaio da depositare all’ufficio di Stato civile del proprio Comune di residenza e da consegnare all’Asp di appartenenza. L’azienda sanitaria locale conserva l’originale e trasmette una copia alla banca dati delle Dat.
Una pratica già di per sé non semplicissima, ulteriormente complicata da diverse criticità della stessa norma che ne ostacolano l’applicazione. «La prima – spiega Giaimo – è, senza dubbio, il fatto che la persona non possa scegliere a quale scopo o a quale centro donare il proprio corpo». La legge, infatti, dispone che deve essere il medico che accerta la morte a individuare «il centro di riferimento competente per territorio, ovvero quello più prossimo al luogo dove è avvenuto il decesso». In Sicilia, per esempio, non ce n’è nemmeno uno. Inoltre, questa disposizione non tiene conto di chi potrebbe voler donare il proprio corpo per lo studio di una malattia di cui ha sofferto o che ha lasciato in eredità. «Questo è un enorme limite alla volontà del soggetto – analizza il professore di Diritto -. Per esempio, in Olanda si possono prendere contatti con il centro scelto quando si è ancora in vita. Così si comincia un percorso e si crea un legame tra il soggetto e chi si occuperà di lui dopo la morte».
Altra difficoltà di ordine burocratico è l’obbligo di nominare un fiduciario. Una figura (maggiorenne e capace di intendere e di volere) che ha solo il compito di informare il medico che constata il decesso dell’esistenza dell’atto con la volontà di donare il corpo alla scienza. «Credo che il legislatore – spiega Giaimo – si sia fatto condizionare dalla legge sulle Dat dove, però, questa figura ha un ruolo ben preciso e un potere decisionale che, in questo caso, non può esistere». A complicare ancora la situazione c’è il tempo. Un corpo può essere donato alla scienza dopo le 24 ore trascorse in obitorio e, come stabilito dalla legge, deve essere restituito alla famiglia dopo una anno «in condizioni dignitose». Un concetto estremamente vago e soggettivo. «Una ambiguità che – sottolinea il docente – potrebbe generare contenziosi legali che rischiano di scoraggiare i centri di ricerca dall’accettare le donazioni».
Così, un atto di grande valore e rilevanza per la scienza medica e la formazione accademica viene mortificato tra informazione inesistenze e scarsa funzionalità della legge. Nelle grandi città italiane viene donato in media un solo corpo l’anno, in Sicilia ci sono anni in cui non ne viene donato nemmeno uno. «Motivo per cui il nostro Paese è uno dei maggiori importatori di preparati anatomici e cadaveri ai fini di ricerca», si legge nell’interrogazione che il Pd ha rivolto al presidente della Regione Renato Schifani e all’assessora alla Sanità Daniela Faraoni per chiedere se «l’amministrazione regionale e le aziende sanitarie abbiano adottano iniziative per diffondere questa legge tra gli operatori sanitari e i cittadini e se vi sia l’intenzione di avviare un dibattito in conferenza Stato-Regioni per migliorare l’applicazione di questa disciplina importante per la ricerca scientifica e per la salute umana e che potrebbe anche ridurre il ricorso alle importazioni di corpi dell’estero».