«Cosa aspettano, che sia un’altra vittima di femminicidio?». Non era retorica la domanda di una 40enne ennese, residente a Caltanissetta che ha chiesto di essere portata, insieme al figlio di otto anni, in una struttura protetta, dopo avere denunciato l’ennesima aggressione del marito. Un appello ascoltato dopo giorni: adesso la donna e il bambino sono […]
Madre e figlio in casa protetta dopo la denuncia di 20 anni di abusi: «Mio marito mi picchiava pure durante la chemio»
«Cosa aspettano, che sia un’altra vittima di femminicidio?». Non era retorica la domanda di una 40enne ennese, residente a Caltanissetta che ha chiesto di essere portata, insieme al figlio di otto anni, in una struttura protetta, dopo avere denunciato l’ennesima aggressione del marito. Un appello ascoltato dopo giorni: adesso la donna e il bambino sono stati trasferiti in una casa a indirizzo segreto. «Ci sono otto denunce con le foto di quando mi ha picchiata anche mentre facevo la chemioterapia – afferma la donna – C’è il pugno a un occhio al bambino che racconta che il padre gli dà le gocce per dormire». Nonostante le querele, finora nessun provvedimento è stato mai preso nei confronti dell’uomo. «Perché chiediamo alle donne di denunciare, se poi veniamo lasciate sole? Alla fine, siamo io e mio figlio che abbiamo dovuto lasciare la nostra casa». È stata la riflessione della donna prima di andare via da Caltanissetta.
È una storia che comincia più di vent’anni fa, e ora è finita nell’aula di un tribunale. La 40enne e il 44enne si conoscono nel 2004: lei frequenta ancora l’ultimo anno di liceo a Enna, lui studia all’università a Palermo. Si mettono insieme e, poco più di un anno dopo, lei – che di anni ne ha 21 – scopre di essere incinta. Si sposano spinti dalle «pressioni della sua famiglia che si ritiene molto religiosa (della chiesa evangelica, ndr) e non potevano accettare l’idea di un nipote nato fuori dal matrimonio». Così racconta la donna che, dal 2022, ha presentato denunce nei confronti di quello che definisce «marito-padrone». Racconti di insulti, umiliazioni, aggressioni e violenze che sono finiti in procura. «La mia vita matrimoniale – ha ricostruito la donna nelle querele – si rivelò subito infelice, cominciai a sentirmi ostaggio di un clan familiare». Dopo le nozze, infatti, è a casa dei suoceri a Caltanissetta che la ragazza poco più che ventenne si trasferisce; mentre il marito resta a Palermo per completare gli studi. «Mia suocera mi diceva che mi avevano raccolto dalla strada, che venivo da una famiglia sfasciata, perché i miei genitori erano separati».
Umiliazioni che la donna avrebbe subito anche dal marito fin da quando erano appena sposini. «Mi diceva che ero brutta, che sembravo un maschio, che non era attratto da me». Insulti che l’avrebbero portata anche a rifiutare il cibo. Non solo parole, l’uomo sarebbe passato alle aggressioni fisiche picchiando la donna pure al settimo mese di gravidanza o mentre allattava il bambino. «Cominciò a dirmi che ero pazza», denuncia ancora. Con la nascita del figlio, sarebbero arrivate pure le accuse di non essere una buona madre. «Venivo umiliata anche dal punto di vista economico: mi diceva che ero un peso». Stando alla ricostruzione della donna, lui a lungo non avrebbe lavorato. Lei, invece un lavoro lo cerca e lo trova, ma «lo stipendio lo consegnavo a lui che gestiva tutto». Con i soldi che sarebbero andati in un conto unico senza che lei, però, avesse nemmeno una carta bancomat. Nessuna indipendenza economica finché, dopo più di dieci anni di lavoro, la donna è costretta a dimettersi a causa di una grave malattia.
«Mi diceva che dovevo corrispondere alle sue aspettative di donna, altrimenti avrei violato la sua idea di famiglia e che, se avessi voluto collaborazione in casa, avrei dovuto sposare una femmina». Un clima di oppressione da cui la donna avrebbe deciso di liberarsi tentando un gesto estremo. L’imbocco per una via d’uscita arriva poi da un percorso con una psicologa: «Mi aiutò a prendere consapevolezza che non potevo e non dovevo accettare quelle condizioni di violenza e sottomissione». Così la donna comincia a ribellarsi e lui «a dirmi che ero posseduta da Satana e che dovevo andare da un esorcista».
Ed è in questo contesto che, nel 2016, scopre di aspettare il secondo figlio. Un mese dopo la nascita, alla donna viene diagnosticato un tumore. «La sua reazione alla mia malattia è stata sempre di totale disinteresse e superficialità», riferisce lei che ha anche tentato di coinvolgere il marito in una terapia di coppia. Una proposta che l’uomo avrebbe rifiutato «convinto di essere un uomo perfetto. In maniera ossessiva ed esaltata – fa mettere nero su bianco la donna in una denuncia – pronunciava testuali parole: “Sto seguendo il progetto di Dio“». Il percorso di terapia continua a farlo lei, nonostante la riluttanza del marito che sarebbe arrivato perfino a mandare alla psicoterapeuta un messaggio dai toni intimidatori. Tra i consigli alla moglie, invece, ci sarebbe stato anche quello di «porre fine alla mia esistenza». Intanto, sarebbe stato lui ad andare via di casa con il figlio maggiore, salvo poi tornare per tentare di «ricomporre la famiglia». Un tentativo fallimentare che finisce con un un’anta dell’armadio della camera da letto vuota e una lettera di separazione con addebito recapitata alla donna di cui adesso si discute davanti a un giudice.