L’estremista nero Delle Chiaie e la nota di servizio dimenticata sulla sua presenza a Capaci. Tutte le «anomalie»

Una nota di servizio sepolta colpevolmente sotto montagne di carte. Quel documento dimenticato forse avrebbe potuto cambiare con largo anticipo il corso degli eventi nelle inchieste per le stragi di mafia del 1992. Nell’indagine della procura di Caltanissetta sulla pista nera, che nei giorni scorsi ha portato ai domiciliari l’avvocato Stefano Menicacci e il suo factotum Domenico Romeo, gli investigatori si sono concentrati su una nota investigativa risalente al 5 ottobre del 1992: pochi mesi dopo gli attentanti in cui vennero uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. A firmare il documento era stato il capitano dei carabinieri Gianfranco Cavallo, all’epoca in servizio alla polizia giudiziaria della procura di Palermo. Il militare, attraverso informazioni ottenute in via confidenziale, aveva indicato la presenza a Capaci di Stefano Delle Chiaie, estremista di destra e fondatore del movimento Avanguardia Nazionale, e i suoi rapporti con alcuni personaggi di spicco di Cosa nostra.

Delle Chiaie detto Er Caccola, è deceduto il 9 settembre 2021 all’ospedale Vannini di Roma. Nel suo passato precedenti per riorganizzazione del partito fascista, omicidio colposo e danneggiamento. È stato per 17 anni, a partire dal 1970, latitante nei Paesi dell’America latina. Arrestato nel 1987 a Caracas, in Venezuela. Il suo nome è stato accostato a fatti come la strage alla stazione di Bologna nel 1980 e al delitto del giudice Vittorio Occorso, ma è stato sempre assolto o scagionato. A partire dal 1991, Er Caccola ha tentato anche la scalata in politica con la creazione di una sua personale lega meridionale. Erano gli anni della Lega Nord e del progetto federalista di Umberto Bossi ma anche quelli di Sicilia Libera, movimento che avrebbe dovuto mettere insieme gli uomini di Cosa Nostra, personaggi della massoneria deviata e la destra eversiva 

Ma come arriva Cavallo a Delle Chiaie? A parlare in via del tutto confidenziale con il militare era stata Maria Romeo, sorella di Domenico (finito ai domiciliari con l’avvocato Menicacci, ndr) e compagna di Alberto Lo Cicero: confidente prima e collaboratore di giustizia dal luglio 1992, deceduto nel 2007. La donna all’epoca venne convocata dai carabinieri per una storia relativa a degli assegni e poi, in maniera confidenziale, raccontò una storia inedita. Passaggi del tutto originali e di cui non aveva mai parlato prima ai carabinieri che già avevano avuto modo di ascoltare i suoi racconti. Il dato centrale delle nuove rivelazioni erano l’esistenza di contatti, prima della strage di Capaci, tra l’estremista nero Delle Chiaie e Mariano Tullio Troia, boss di primo piano all’interno di Cosa nostra palermitana, capo del mandamento di San Lorenzo, a cui proprio Lo Cicero fece da autista. Stando ai racconti Maria Romeo, avrebbe conosciuto Delle Chiaie tra il 1988 e il 1989 per poi rivederlo a Palermo nel 1992 insieme all’avvocato Menicacci.

Tutti fatti da accertare e sui quali sono al lavoro i magistrati di Caltanissetta. Gli stessi che hanno provato a capire come sia stato possibile che quella nota di servizio così scottante sia rimasta conservata dentro una carpetta per anni e anni. Il documento, all’epoca, venne trasmesso alla procura di Palermo e a quella Caltanissetta, guidata da Giovanni Tinebra, ma anche al comando provinciale dei carabinieri di Palermo e al Reparto operativo speciale. Tutti gli ufficiali dei carabinieri che erano al vertice dei vari reparti, sentiti dai magistrati, hanno dichiarato però di non ricordare la nota Cavallo o di essersi occupati di indagini su Delle Chiaie e dei suoi rapporti con Cosa nostra. La trattazione della nota risulta «anomala», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, anche da parte della procura di Palermo poiché registrata come un «normale atto amministrativo». Il magistrato a cui sarebbe stata assegnata, Giusto Schiacchitano, ha escluso davanti ai colleghi nisseni di avere «preso visione della nota, anche perché ricorderei il nome di Delle Chiaie, già all’epoca personaggio ben noto», ha detto. Il magistrato ha anche sottolineato di non riconoscere come sua la sottoscrizione della nota. A sostenere di non sapere nulla è stato anche Vittorio Teresi, all’epoca sostituto procuratore a Palermo. «Il nome di Delle Chiaie mi avrebbe fatto saltare dalla sedia», ha spiegato Teresi ai colleghi di Caltanissetta. Cavallo tuttavia, come emerge in un interrogatorio del 20 maggio 2022, ha confermato di avere consegnato personalmente la nota all’allora procuratore aggiunto Vittorio Aliquò e che lo stesso avrebbe sottolineato che «bisognava approfondire» in relazione a un passaggio che indicava il magistrato Giuseppe Ayala come possibile obiettivo.

La nota Cavallo non ha avuto migliore fortuna nemmeno negli uffici giudiziari della procura di Caltanissetta. L’allora procuratore Tinebra si autoassegnò il fascicolo e delegò le indagini al gruppo 1 dei carabinieri di Palermo, inviando successivamente, tramite posta ordinaria, tre solleciti rimasti senza nessuna risposta nonostante la delicatezza del contenuto. Il fascicolo successivamente passò nelle mani della magistrata Ilda Boccassini ma anche lei ha spiegato «di non avere mai avuto visione di tale atto». Nota che rischiava di cadere nel dimenticatoio assoluto essendo successivamente inserita tra i 60 faldoni, all’interno di una carpetta con la dicitura «anonimi», dell’inchiesta sui mandanti esterni alle stragi di mafia. Solo l’informatizzazione della documentazione e il ritrovamento, tramite ricerca nella banca dati, da parte del sostituto procuratore dell’antimafia nazionale Gianfranco Donadio nel 2007 ha riacceso i riflettori a cui però non seguì «nessun atto d’impulso» nei confronti delle procure siciliane competenti sul caso. Donadio e Pietro Grasso, che all’epoca era al vertice della Direzione nazionale antimafia, sentirono Lo Cicero e Maria Romeo. «Gli elementi non ci sembrarono sufficienti – spiegarono Donadio e Grasso ai colleghi – e, in ogni caso, la procura di Caltanissetta non sembrava credere a tale filone. Poco mancava che ci venisse addebitato uno sviamento alle indagini».

Tutte le «anomalie» hanno avuto un risultato comune: nessuno ha indagato su quanto riportato nella nota di servizio redatta da Cavallo. Un «modo singolare di procedere» anche in relazione al fatto che Tinebra si autoassegnò il fascicolo rispetto a una vicenda così complessa e non di immediata definizione. Strano è anche il fatto che, nonostante i solleciti e le mancante risposte da parte dei carabinieri di Palermo, Tinebra nulla abbia fatto per capire che fine avessero fatto gli atti inviati. «Appare necessaria – scrivono i magistrati di Caltanissetta – nonostante Aliquò e Tinebra siano deceduti, una valutazione dell’attività svolta dagli stessi come già avvenuto nei confronti di Tinebra in relazione al procedimento sul depistaggio sulla strage Borsellino». Anche perché andrà chiarita la posizione di Menicacci e il suo presunto messaggio inviato, in una conversazione con la moglie di Delle Chiaie e Romeo, in cui l’avvocato spingeva i suoi interlocutori a negare che l’estremista nero si fosse trovato in Sicilia nel periodo degli attentati.


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