Morire viaggiando e vivere umiliandosi: spesso è questo il destino dei migranti, durante e dopo la loro ricerca della terra promessa. Lo racconta Fabrizio Gatti, scrittore e giornalista, che ha viaggiato dall'Africa all'Italia insieme ai disperati, nelle loro stesse condizioni. Da questo è nato il romanzo "Bilal". Step1 incontra l'inviato al Festival di Perugia
Dei diritti e delle pene
Intervista a Fabrizio Gatti from LaCapa on Vimeo.
Oliver aveva trecento dollari. Trecento dollari con i quali avrebbe dovuto attraversare il mare e arrivare alla terra promessa, da immigrato clandestino. Dal Senegal all’Italia ci sono più di seimila chilometri, e più della metà di questi sono da fare su strada non asfaltata, in mezzo al deserto, con i posti di blocco dei militari da superare. Guadagnano tanto, i militari, oltre al loro stipendio. Perché per passare oltre i migranti devono pagare.
Oliver aveva trecento dollari, nascosti tra i vestiti. Quando ha visto che l’avrebbero picchiato e gli avrebbero rubato i suoi soldi, ha ingoiato il cartoccio con le banconote. Oliver è morto soffocato, davanti agli occhi di decine di uomini come lui, altrettanto miseri, altrettanto disperati.
Quella di Oliver è una delle storie raccontate da Fabrizio Gatti in “Bilal – Il mio viaggio da infiltrato nel mercato dei nuovi schiavi”. Giornalista e scrittore, Gatti s’è finto clandestino ed ha compiuto il suo viaggio della speranza attraverso l’Africa nera dei neri, poi a Lampedusa, scambiato per un iracheno, infine in Puglia, a raccogliere chili e chili di pomodori.
«In Italia il problema è la mancanza dei diritti per gli immigrati. Un obiettivo potrebbe essere il voto amministrativo, almeno quello amministrativo», ci ha spiegato in questa lunga intervista a Step1, durante la quale ha parlato della Bossi-Fini, degli accordi tra l’Italia e la Libia, delle condizioni all’interno del centro di «deportazione» di Lampedusa, e del suo incontro con Nelson Mandela.