Decreto Dignità, in bilico 36 precari di Sicilia Digitale «Rivoluzione mancata che rischia di creare turnover»

È stato annunciato dal Governo come la fine del precariato. Ma il nuovo Decreto Dignità rischia di penalizzare ulteriormente i diritti degli stessi lavoratori che prometteva di blindare. Come nel caso di Marco, uno dei 36 precari palermitani di Sicilia Digitale per il quale la proroga del contratto a tempo determinato, dopo 12 anni, ora si fa difficile. Un’incertezza dettata non tanto dalla traballante situazione finanziaria della partecipata che gestisce il sistema informatico della Regione, ma dall’entrata in vigore della nuova normativa. Per loro – analisti programmatori, sistemisti, operatori del desk, assunti dalla agenzia interinale Tempor spa – potrebbe a breve incepparsi il rinnovo contrattuale a causa del nuovo limite di 24 mesi introdotto dal decreto. Per alcuni il termine del rapporto di lavoro è ravvicinato: una parte ha i contratti in scadenza a ottobre e un’altra a gennaio 2019

«Allo stato attuale il decreto dignità mi sembra una rivoluzione mancata – lamenta Marco, 40 anni, dal 2008 a Sicilia Digitale, con una famiglia sulle spalle e un mutuo da pagare a fine mese – Certe volte bisogna andare oltre i proclami ed entrare nel merito delle questioni, magari ascoltando un po’ più i lavoratori. Anche volendolo fare, la nostra società non può assumerci, come vorrebbe la logica del decreto. Un conto sono gli annunci un conto è la realtà». Ma cosa cambia esattamente con l’introduzione della nuova norma? «Il decreto dignità equipara il contratto a tempo determinato a quello di somministrazione – spiega Andrea Gattuso, segretario provinciale Nidil Cgil Palermo -. Prima non era così e ora, una vasta  platea di lavoratori, compresi i 36 di Sicilia Digitale, si trovano in una situazione difficile». 

Con l’introduzione del decreto, tuttavia, è previsto una sorta di periodo di tolleranza, nel quale le aziende possono scegliere di reiterare, per un altro anno, i contratti a tempo determiato. In quel caso, al termine dell’ultimo rinnovo, l’esito sarebbe scontato. A meno di un’assunzione a tempo indeterminato, ma anche questa è un’ipotesi al momento non percorribile: «Sicilia Digitale è una partecipata regionale vincolata dal blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione – chiarisce Gattuso – Inoltre è una società in stato di crisi, alle prese con un buco da 50 milioni di euro. Al termine dell’ultimo incontro, l’azienda ha alzato le mani dicendo che ‘senza il via libera della Regione non possono far nulla».

Ma ci sarebbe pure un’altra possibilità, ancora più infausta, che li vedrebbe già fuori dal primo novembre, a causa dello sbarramento di due anni. «Noi speriamo di no – assicura Gattuso – visto che fino ad allora si potrà procedere liberamente con proroghe. Le vecchie regole per i contratti di somministrazione non avevano un limite, ma potrebbe anche accadere il contrario. Sono in bilico – ammette -, ma come sindacato cercheremo di percorrere tutte le soluzioni». Il punto vero è che questo decreto, così com’è stato concepito rischia, di essere «zoppo», privo di una clausola che obbliga l’azienda, prima di procedere con assunzioni di nuovo personale, a dare precedenza a chi ha già prestato attività lavorativa. «Dovevano prevedere un diritto di prelazione, altrimenti si rischia di fare solo turn-over penalizzando i lavoratori». 

Per qualcuno si è trattato di un regalo fatto alle aziende ma nemmeno questa voce sembra realistica. «Parliamo di dipendenti che ormai hanno acquisto una esperienza decennale che non sarà facile rimpiazzare – riflette Gattuso –  Si era partiti con le intenzioni giuste ma così si crea solo confusione». Anche la reintroduzione della causale non convince: «La direzione è positiva ma perché dopo solo 12 mesi?» Forse, anche in questo caso, è mancato un po’ di coraggio. «Di fatto si è creata una situazione confusa che si chiarirà solo il 31 ottobre – conclude Marco – La storia di anni di precariato mi insegna che si è sempre agito in questo modo. Siccome la nostra precarietà dura da anni ci siamo abituati, ma è un’abitudine triste». 


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