La nuova scuola di Renzi al centro del convegno tenutosi ieri al liceo Turrisi Colonna di Catania. Ospite d'eccezione, il sottosegretario Davide Faraone che ha difeso la riforma. Ma non mancano le critiche: «Se il governo porterà a compimento il piano di assunzioni, il sistema sarà saturo per una decina d’anni. Perché continuare a tenere in piedi il Tfa?»
Ddl scuola, Faraone: «Metteremo fine alla guerra» Ma le categorie di insegnanti continuano a scontrarsi
Clima incandescente, ieri, al liceo Turrisi Colonna, nel corso del convegno su Formazione e professionalità degli insegnanti organizzato dall’istituto catanese e dall’Anfis, l’Associazione nazionale dei formatori insegnanti supervisori. Un dibattito che cade all’indomani del via libera del Consiglio dei ministri alla riforma sulla scuola del governo guidato da Matteo Renzi, e al quale ha preso parte anche il sottosegretario di Stato all’Istruzione Davide Faraone. «Reclutamento è una parola che rimanda alla guerra, e non è un caso che sia stata usata per gli insegnanti. Finora non si è fatto altro che mettere una categoria contro l’altra, con questo ddl chiuderemo la stagione del precariato». Uno scenario di pacificazione, quello prospettato dal palermitano alla guida del Miur, su cui, però, si alza subito lo striscione del movimento Gae in ruolo, non uno di meno, a cui il ddl non piace affatto: sono i precari storici delle graduatorie a esaurimento, in teoria gli unici che beneficeranno delle 100mila assunzioni; ma sono anche loro sul piede di guerra, perché nonostante le rassicurazioni governative, non hanno la certezza di rientrare nel piano.
«L’articolo 8.5 recita che in assenza di posti non si procederà alle assunzioni», spiega Luigi Mazza, docente del movimento. «A quel punto – continua – chiederemmo di mantenere le Gae aperte fino all’esaurimento, ma a preoccuparci è l’articolo 10, che ne prevede la chiusura». La sua protesta è incomprensibile agli occhi di Faraone: «Posso capire quella di altre categorie escluse dalle assunzioni, come gli idonei al concorso 2012 e gli iscritti alle graduatorie di istituto. Ma tu non vuoi stare tranquillo, perché altrimenti la tua associazione chiuderebbe», gli risponde.
Faraone ci tiene a puntualizzare che lo strumento scelto dalla riforma renziana non è un decreto legge ma un disegno di legge, sul quale, pertanto, la discussione è ancora aperta. Da qui il suo invito a partecipare «senza atteggiamenti ideologici» e a «non sindacalizzare un dibattito che riguarda la formazione dei nostri figli». Presenti all’incontro anche i sindacati: «Ci auguriamo che la nostra proposta per una valutazione che ricada collettivamente sulle scuole e non sui singoli docenti possa servire da spunto per il governo», afferma Pina Palella, segretaria confederale di Cgil Catania.
Nemmeno le rassicurazioni sull’ampliamento dei poteri dei dirigenti scolastici convincono la sala, che paventa sistemi clientelari: «I presidi non saranno manager ma sindaci di una comunità, e sceglieranno i docenti fra gli assunti dalle Gae, non certo secondo il loro arbitrio», afferma il sottosegretario. Il criterio della scelta dei docenti sarebbe «il progetto delle singole scuole: non si tratterà di selezionare necessariamente i più bravi – continua – ma di individuare figure competenti in materie o attività che si intende potenziare in quella determinata istituzione scolastica».
Secondo Maria Luisa Altomonte, direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale siciliano, la questione del reclutamento docenti è «ancor più importante della formazione»: a suo avviso, «abolire le forme facilitate di abilitazione e reclutare tramite concorso avrà come effetto una classe docente più idonea ai compiti della società». Parole decise anche sul rapporto fra competenze disciplinari e pedagogia: «Possiamo discutere di didattica per competenze, di ricerche laboratoriali e quant’altro, ma solo se siamo padroni delle discipline», conclude. E la formazione degli insegnanti tira immancabilmente in ballo il Tirocinio formativo attivo. Sulla questione, il presidente di Anfis, Riccardo Scaglione conclude con un augurio che «piacerà poco agli accademici: Tfa significa tanti iscritti e tanti soldi. Io vorrei che questi soldi restassero alla scuola, alla didattica».
Una domanda che rimane in coda e in attesa di risposta, fra quelle poste a Davide Faraone, è di Daniela Girgenti, direttrice della casa editrice Tecnica della scuola: «Ricevo lettere quotidiane di giovani disperati che si chiedono “perché continuate a farci studiare e spendere soldi?” – racconta – Se il governo porterà a compimento il piano di assunzioni, il sistema sarà saturo per una decina d’anni. Perché continuare a tenere in piedi il Tfa e a illudere delle persone?».