David di Michelangelo e Venere di Milo censurati da Facebook: la campagna di un’agenzia etnea «scambiata per porno»

Il David di Michelangelo e la Venere di Milo. In comune, da adesso, non hanno solo la fama, ma anche la censura del social network Facebook. «In un’epoca in cui la libertà sessuale è stata sdoganata anche sui social, a essere censurata è l’arte». È ancora incredula Maria, una delle graphic designer dell’agenzia pubblicitaria catanese Addivenire, quando racconta a MeridioNews quello che è accaduto a una campagna pubblicitaria a cui lavora insieme ai colleghi. Con il claim Mind the art (Attenzione all’arte, ndr), sulle parti intime delle famose statue sono stati sistemati dei bollini neri con una X gialla, simbolo dell’attività commerciale – al momento segreta – che ha commissionato il lavoro. «Il progetto è stato pensato come un inno all’arte, con uno stile un po’ irriverente – precisa la graphic designer – E non ha nulla a che vedere con gli aspetti sessuali che ci imputa adesso Facebook». Anche perché il cliente è un imprenditore catanese che non ha deciso di investire in un sexy shop, in un locale per scambisti e nemmeno in un sito di incontri per adulti. «Censurare il nudo artistico sui social è un enorme passo indietro culturale – aggiunge il copywriter Giuseppe – Anche perché sui libri di storia e di arte, e anche sui siti dei musei, come è giusto che sia, le statue sono in bella vista anche nelle loro nudità».

Il caso dell’agenzia catanese arriva a distanza di pochi giorni dal licenziamento di una dirigente scolastica che, negli Stati Uniti, ha mostrato ai suoi studenti di undici anni proprio l’immagine del David di Michelangelo. Una lezione sull’arte rinascimentale scambiata per pornografia: l’algoritmo di Facebook ha insomma ragionato come i genitori americani bacchettoni. «Il blocco – precisa Roberta, social media manager di Addivenire – è arrivato quando abbiamo provato a sponsorizzare i contenuti». Brevi video in cui i bollini neri animati compaiono a coprire il pene del David e il seno della Venere. Di fronte al primo rifiuto della piattaforma, l’agenzia ha chiesto un’analisi più approfondita. E la risposta ha lasciato tutti senza parole: «Le inserzioni non devono promuovere la vendita o l’uso di prodotti o servizi per adulti. Quelle che promuovono prodotti o servizi per la salute sessuale non devono concentrarsi sul piacere sessuale». Un tipo di piacere che, in ogni caso, nulla ha a che vedere con la campagna social e nemmeno con l’attività commerciale.

Del resto non sarebbe la prima volta in cui un eccesso di politically correct di Facebook penalizza il prodotto sbagliato: di recente a essere censurati erano state le pubblicità di finocchiona e culatello. Due salumi tipici scambiati per insulti. «Da creativi – aggiungono dall’agenzia – troviamo tutto questo assurdo e limitante». Ma anche dannoso. «Abbiamo lavorato con entusiasmo a questa campagna teaser – spiega Claudia, la titolare dell’agenzia – e mai ci saremmo aspettati una censura del genere da parte di Facebook». Un’idea che era piaciuta anche al cliente, convinto a investire più online che su canali classici. «Un’idea vincente anche per il tipo di target che intende raggiungere. Adesso, però – continua la titolare – ci ritroviamo a fare i conti con una situazione assurda che potrebbe creare un danno al cliente: senza la campagna online, restano solo i manifesti per la città di Catania». Almeno quelli. Perché, per fortuna, i censori per le strade non esistono più dai tempi dei romani.


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