Il 21 maggio scadranno i termini della custodia cautelare, ma i tempi del processo d'appello si sono talmente dilatati che si dovranno ancora sentire dei collaboratori e riprogrammare requisitoria e arringhe. «Sono tempi stabiliti dalla legge, vanno rispettati»
Dalla mafia della Cosa nera alle condanne di primo grado Possibile scarcerazione per 12 nigeriani della Black Axe
«Un processo non può durare all’infinito». È, forse, soprattutto in questa frase dell’avvocato Cinzia Pecoraro il senso di quello che potrebbe accadere, nelle prossime settimane, nel procedimento di secondo grado contro i presunti gregari della Black Axe, la Cosa nera nigeriana. Dodici imputati su quattordici potrebbero essere scarcerati per la scadenza dei termini della custodia cautelare, prevista per il 21 maggio. «Il fatto che siano stati condannati in primo grado non significa che siano colpevoli – sottolinea la legale -, potrebbero essere assolti in appello. Per altro questo, in particolare, è il troncone dell’abbreviato. In dibattimento, quindi davanti alla corte d’assise, tutti i presunti capi dell’organizzazione sono stati assolti, quindi diciamo che c’è più d’una presunzione d’innocenza in questo caso». Quelli coinvolti nell’abbreviato sarebbero quelli accusati dalla procura di essere i meri gregari dell’organizzazione, a nessuno vengono imputati ruoli apicali e in primo grado sono stati condannati a pene basse.
«L’uomo che io ho difeso ha avuto una condanna a quattro anni e cinque mesi, che già ha finito di scontare – torna a dire l’avvocato Pecoraro -. Con la liberazione anticipata, se il provvedimento fosse definitivo, già sarebbe fuori comunque. Però c’è questo dato importantissimo rappresentato da questa sentenza di assoluzione di tutti i capi, cioè di quello in carica all’atto dell’arresto e di quello in carica fino al luglio del 2016, tutti i ruoli apicali assolti. La legge dice che i processi non possono durare all’infinito – ribadisce -, specie quando ci sono persone in custodia cautelare in carcere. Mette dei paletti e uno di questi è che il processo deve avere dei tempi stabiliti, questi tempi stabiliti nel caso del nostro processo si sono dilatati perché ci sono state varie richieste da parte della Procura per sentire dei collaboratori di giustizia già ascoltati anche nell’ambito del procedimento davanti alla corte d’assise».
Perciò la corte d’assise d’appello ha dovuto interrompere le discussioni e, accogliendo la richiesta del pubblico ministero, procedere all’audizione di questi collaboratori. «Dovendo ricollocare e rifare di nuovo discussioni e requisitorie. Quindi siamo arrivati a questo punto per questi intoppi. Nell’immediato – spiega ancora l’avvocato – avverrà che se il processo non si conclude entro il 21 maggio, e penso sia impossibile, verranno scarcerati». L’imprevisto dilatamento dei tempi processuali rischia di far scadere il termine ultimo, fissato appunto per il 21 maggio. Della Cosa nera inchieste e cronache ci hanno restituito uno scenario piuttosto brutale e violento. Fatto di fiumi di droga da spacciare per i vicoli di Ballarò, all’ombra dei quali perpetrare vere e proprie sevizie e costringere le donne a prostituirsi. Sullo sfondo di continue minacce, intimidazioni e soprusi. Una vera e propria mafia, appunto, arrivata dalla Nigeria a Palermo e colpita da numerosi blitz. Che hanno innescato più filoni e processi, fino alle condanne di primo grado di 14 nigeriani, inclusi i 12 che potrebbero essere scarcerati a breve, inflitte a maggio 2018 dalla gup di Palermo Claudia Rosini.
Tra loro, c’è anche Evans Osaymwen, detto Osas, condannato in primo grado a quattro anni e otto mesi, nel gruppo di chi potrebbe tornare libero a breve. Attualmente imputato nel processo di appello contro la mafia nigeriana, la sua difesa ha presentato un ricorso accolto dal tribunale del riesame di Palermo: l’emergenza sanitaria non giustifica, per i giudici, la proroga della custodia cautelare oltre i termini massimi stabiliti dalla legge. Battezzato quale membro della Black Axe il 7 luglio 2013 a Verona, Osas viene arrestato tre anni dopo a Palermo, nel blitz del 28 ottobre 2016. Con l’accusa di aver partecipato a tutte le attività dell’organizzazione mafiosa, dallo spaccio di droga alle punizioni e sevizie inflitte a chi sgarrava. O a chi non voleva unirsi a quel sodalizio, come Don Emeka, brutalmente aggredito nel 2014 e morto alcuni mesi fa per cause naturali, a soli 29 anni. Uno dei grandi accusatori dei cult della mafia nigeriana, che lo aveva punito rompendogli un braccio e sfregiandogli la faccia con i cocci di una bottiglia rotta, una delle armi predilette dai membri dell’organizzazione.
«Sono persone che vanno in giro sempre a fare tanti problemi, tanti problemi – aveva raccontato lui stesso nel corso dell’incidente probatorio -, in Italia li chiamano persone mafiose, qui in Nigeria si chiamano Black Axe». Un tentato omicidio, quello di Don Emeka, di cui si era parlato molto nella comunità nigeriana a Palermo, anche durante un’assemblea organizzata alla chiesa Santa Chiara di Ballarò, dove numerosi connazionali palesarono il loro terrore nei confronti delle violenze dell’organizzazione criminale.