Sono arrivati al porto di Catania sabato scorso in 196, tra cui 11 donne e 34 minori. Da quel giorno aspettano al palazzetto dello sport di Cibali di essere trasferiti in una struttura d'accoglienza degna di questo nome. «Fino a martedì molti andavano in giro in mutande, perché non hanno portato i vestiti e impediscono a noi di distribuirne di nuovi», denuncia la Rete antirazzista catanese che propone di usare le strutture ospedaliere dismesse
Da una settimana 200 migranti al Palaspedini «Nudi per giorni, si aprano gli ex ospedali»
Da cinque giorni 196 migranti, tra cui undici donne e 34 minori, sbarcati sabato scorso al porto di Catania aspettano dentro il Palaspedini di essere trasferiti in un luogo di accoglienza degno di questo nome. Il palazzetto adiacente allo stadio Massimino, con le alte temperature degli ultimi giorni, assomiglia più a una serra che a un impianto sportivo. «Fino a martedì sera – denuncia la Rete Antirazzista catanese – ai migranti non erano stati portati vestiti puliti, molti andavano in giro in mutande o con un asciugamano addosso, mentre a noi, secondo le nuove disposizioni della Prefettura, veniva impedito di distribuire pantaloni e magliette perché, ci hanno detto, si correva il rischio di trasmettere malattie infettive che poi si sarebbero potute propagare al Cara di Mineo». «Già sabato abbiamo distribuito il kit igienico, compreso il primo cambio», nega proprio un dipendente del Cara.
Perché è nel mega centro per richiedenti asilo – che al momento supera abbondantemente le quattromila unità a fronte di un limite massimo stabilito dalla nuova convenzione di tremila – che la maggior parte di loro finiranno. Già questa sera arriveranno degli autobus, ma al momento nemmeno gli addetti sanno con precisione quanti migranti e dove saranno trasferiti. La Prefettura di Catania, intanto, ha affidato al Cara la prima accoglienza. Da Mineo arrivano infatti i pasti, così come dovrebbero arrivare i vestiti. Che, tuttavia, sono stati messi a disposizione solo ieri. Donne, bambini e uomini continuano a condividere lo stesso impianto promiscuamente: stesso ambiente e stessi bagni per tutti.
E’ questo uno dei motivi che spinge la Rete antirazzista a lanciare l’ennesimo appello per predisporre «centri di prima accoglienza adeguati, attrezzati e in grado di garantire condizioni dignitose di vita». Non certo i palazzetti dello sport e le caserme. Come sta avvenendo a Messina, dove l’ex caserma Bisconte è passata dal ministero della Difesa a quello dell’Interno e ospita 200 migranti. Qui la gestione è affidata alla Senis Hospes, una delle società che lavora anche al Cara di Mineo. «La nostra proposta – spiega Alfonso Di Stefano, portavoce della Rete – è di destinare alla prima accoglienza gli ex ospedali della città, come il Santa Marta e l’Ascoli Tomaselli, che sono in buone condizioni».
Ed è sempre la Rete antirazzista ad aver fornito ai migranti le guide in sette lingue con le indicazioni per chiedere il diritto d’asilo. «Cosa che dovrebbero fare direttamente sulle navi dell’operazione Mare Nostrum o quantomeno le associazioni indipendenti autorizzate dalla Prefettura», sottolinea l’attivista. La Prefettura ha giustificato il nuovo divieto di distribuire cibo o vestiti ai migranti, con la volontà di evitare risse. «Ma è un pregiudizio chiaramente razzista – replica Di Stefano – perché in passato abbiamo consegnato il materiale senza difficoltà, basta dare un’organizzazione ai migranti che si comportano spesso meglio di tanti catanesi».
[Foto della Rete antirazzista]