«Catania è una città ricca di fermenti, di forze positive, con i problemi che conosciamo tutti e che io devo approfondire e conoscere nei prossimi mesi: “nessuno nasce imparato“, si dice». Sono le prime parole da procuratore della Repubblica di Catania di Francesco Curcio. Questa mattina si è tenuta la cerimonia del suo insediamento a capo dell’ufficio del capoluogo etneo, succedendo nell’incarico a Carmelo Zuccaro, che è il procuratore generale del distretto giudiziario. Sulla nomina di Curcio pende il ricorso al tribunale amministrativo regionale presentato da tre suoi contendenti: i procuratori aggiunti di Catania Francesco Puleio – intanto nominato capo a Ragusa – Ignazio Fonzo e Sebastiano Ardita. L’udienza davanti ai giudici si terrà nei primi mesi del 2025.
«Catania è una delle migliori procure d’Europa, e non soltanto d’Italia, sul profilo dell’inchieste sull’immigrazione clandestina – continua Curcio che è stato procuratore capo a Potenza – e noi dobbiamo implementare questa attività visto che ci sono delle professionalità che ci invidiano all’estero. L’Italia, nel 2006, ha sottoscritto il trattato che prevede il contrasto e la punizione dei trafficanti, ma, nello stesso tempo l’assistenza a chi è vittima di tratta». Alla cerimonia era presente il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo. Tra i pericoli a Catania, pur invitando a «mettere da parte la scaletta delle priorità», il procuratore Curcio ha evidenziato quello della «criminalità organizzata che muta pelle si sta trasformando sempre più in comitato d’affari, vestendo sempre più un colletto bianco». Poi ha ricordato anche le «violenze domestiche e l’uso spregiudicato degli strumenti finanziari e dell’economia, attraverso i quali si riciclano i proventi dell’attività illecita».
«Lei giunge a Catania in un momento in cui anche questa città è coinvolta in un aspro confronto tra le istituzioni che vede coinvolta la giurisdizione e si realizza attraverso la personalizzazione e la delegittimazione reciproca», ha detto durante il suo saluto Ninni Distefano, presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Catania. «Queste battaglie – continua – non possono concludersi con vincitori e vinti perché se questo accadesse tutti saremmo sconfitti e prima di tutto la nostra democrazia. Sono atteggiamenti che l’avvocatura stigmatizza perché quando vengono messe in discussione le regole e le garanzie, i cittadini e prima di tutti i più deboli subiscono un pregiudizio irreparabile e, come non ci manca di assistere anche in questi giorni si innesca un meccanismo in cui proprio le Istituzioni rimangono stritolate dalla rissa social e mediatica».
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