Cosentino, Ventrone, Moggi Sono loro il Calcio Catania?

Si dice spesso che il settore privato sia molto meglio di quello pubblico. E che in esso non possano darsi, quasi per definizione, i privilegi, gli sprechi, le assurdità che rendono tanto impopolare la casta dei politici e dei boiardi. È un ragionamento tagliato con l’accetta, naturalmente. E certamente ingeneroso verso molta bravissima gente che lavora nel pubblico. Come ad esempio tanti insegnanti che si fanno un mazzo così in cambio di quattro soldi; e che spesso devono anche sentirsi insultati come privilegiati e fannulloni.

Il ragionamento ha però, non lo nego, una sua base logica. A chi lavora per lo Stato – salvo che sia animato da nobili ideali o spirito missionario – viene in tasca ben poco dal fatto che l’ente in cui opera funzioni bene o dia dei servizi di qualità. Un imprenditore privato, viceversa, gioca col suo portafoglio e sta ben attento a non buttar via i quattrini. E sarà perciò sempre vigile a evitare sprechi, prebende d’oro o rendite di posizione cui non corrisponda un preciso utile per l’azienda.

Su queste basi, ci sarebbe stato da aspettarsi già da tempo che il presidente del Catania, Antonino Pulvirenti, licenziasse in tronco i dirigenti e i professionisti che più hanno fatto danno, in tempi recenti, alla sua azienda. Primo di tutti il suo braccio destro Pablo Cosentino: un uomo che non ha una significativa esperienza come amministratore di società di calcio (il suo lavoro era, fino a ieri, quello di procuratore dei giocatori). E che ha al suo attivo, in un anno e mezzo di carriera, una desolante retrocessione dalla A alla B nonché – stando all’attuale classifica della squadra – il rischio di una seconda retrocessione dalla B alla C. E ancora, immediatamente dopo Cosentino, il preparatore atletico Giampiero Ventrone: che non si capisce come possa restare tranquillamente al suo posto in una squadra i cui calciatori, una partita sì e l’altra pure, devono chiedere il cambio per infortuni muscolari di vario genere. Quasi sempre destinati, oltretutto, a bloccarli per diverse settimane.

Viceversa, Pulvirenti ha fatto quello non ci si sarebbe aspettato da un oculato imprenditore privato: e cioè dirottare la colpa di ogni male della squadra sull’allenatore Giuseppe Sannino. Che è stato addirittura accusato di essere lui, ben più di Ventrone, il responsabile degli infortuni dei suoi giocatori. E che ha finito per dare le dimissioni alla vigilia della sfida del Massimino contro il Brescia. Non mi stupirei se ora la dirigenza venisse a dirci che è colpa di Sannino anche il pareggio interno racimolato questo pomeriggio dai rossazzurri nella sfida contro la squadra lombarda. Sfida nella quale, in panchina, è tornato a sedere il buon vecchio Maurizio Pellegrino.

Ma la colpa di Sannino, a me pare, è un’altra. Il tecnico – pur essendo indicato dalla stampa sportiva come vicino alla Gea, una società di marketing e calciomercato controllata da Alessandro Moggi, che da quest’anno collabora strettamente con il Calcio Catania – si è mostrato, nei fatti, poco incline a predicare il vangelo aziendalista con l’ovina mansuetudine desiderata dalla società; e s’è anzi permesso – come peraltro si addice a una persona che fa seriamente il suo lavoro – di mettere in piazza la nudità del re; sia smentendo pubblicamente le improbabili e ripetute rassicurazioni dello sfasciasquadre Cosentino circa la completezza dell’organico; sia puntando il dito, senza troppi mezzi termini, verso l’acciaccamuscoli Ventrone. Contro ogni buonsenso, però, la società ha scaricato Sannino. Non solo confermando ciò che da tempo si sapeva, e cioè che Cosentino non si tocca. Ma facendoci anche sapere che, tra gli intoccabili, va annoverato anche Ventrone. Uomo peraltro, a quanto leggo in giro, storicamente vicino alla famiglia Moggi. Più vicino, mi par di capire, di quanto potesse esserlo Sannino.

A questo punto – salvo che, in quanto detto sopra, non ci siano errori o falle logiche che mi sfuggono; e che sarei grato se mi venissero segnalate – non restano che due ipotesi, entrambe stupefacenti e prive di ogni riscontro fattuale e, tuttavia, entrambe logicamente deducibili dalle premesse. O il Catania è diventato, a nostra insaputa, un carrozzone parastatale che elargisce privilegi e intangibilità a dirigenti inutili o dannosi. Oppure la società, di fatto, non è più sotto il controllo di Pulvirenti. Cosa evidentemente falsa, assurda, impensabile. Ma che pure riesce difficile non pensare, se si vuol parlare del Catania nella logica di un’azienda privata.


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